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Busy Philipps, attrice statunitense di 46 anni conosciuta per il suo ruolo in Dawson's Creek, in un’intervista alla rivista “Self” ha rivelato di aver ricevuto solo recentemente la diagnosi di ADHD. Philipps ricorda con chiarezza il momento in cui ha realizzato di poter essere ADHD. Era il giorno in cui aveva accompagnato sua figlia Birdie da uno psichiatra per ottenere una valutazione: «Era in quarta o quinta elementare, e la scuola suggeriva che forse avremmo dovuto farle valutare alcuni aspetti del suo apprendimento», ha raccontato. Durante l’incontro, mentre il medico poneva una serie di domande a Birdie per verificare se potesse trattarsi di ADHD, Philipps si è accorta di rispecchiarsi in quasi tutti i tratti menzionati. Da qui, la decisione di consultare uno psichiatra per se stessa, il quale le ha confermato la diagnosi. L’ADHD ha un’origine neurobiologica e caratteristiche ben definite e continue. Sebbene sia comunemente associato all’età infantile e adolescenziale, può riguardare anche gli adulti: oltre due terzi degli adolescenti a cui viene diagnosticato continuano a presentare le stesse caratteristiche anche in età adulta. Per Philipps, ricevere la diagnosi è stato un grande sollievo: alcune difficoltà, come mantenere l’attenzione o organizzare le proprie attività e il proprio tempo, l’avevano fatta sentire inadeguata fin dall’infanzia. «Da piccola, pensavo di non essere abbastanza brava o intelligente. Gli altri riuscivano, mentre io no», ha condiviso. Ricevere una diagnosi, anche in età adulta, può rappresentare un punto di svolta significativo: finalmente si può dare un nome a quanto provato e intraprendere un percorso di supporto adeguato. Concludendo l’intervista, l’attrice ha raccontato come ora l'ADHD sia più gestibile, anche grazie al percorso medico che sta seguendo: «Ora mi sento bene con me stessa». Foto: @busyphilipps #BusyPhilipps #ADHD #Neurodivergenza #Benessere #Salute
Per alcune persone, il trucco può avere un ruolo fondamentale nella strada verso la fiducia in se stessi. È questo il motivo che ha spinto Des Monahan, irlandese di 89 anni, a prendere lezioni di trucco per poter aiutare la moglie Mona a sentirsi bene con se stessa, nonostante la sua progressiva perdita della vista. #Trucco #Bellezza #Fiducia #Autostima #Amore
Vampate di calore, insonnia, difficoltà di concentrazione: i sintomi della menopausa sono reali e, per molte donne, possono diventare debilitanti, fino a ripercuotersi sul lavoro. Eppure, fino ad oggi, pochissimi luoghi di lavoro hanno previsto tutele adeguate. Il piccolo stato del Rhode Island ha deciso di cambiare le cose, diventando il primo negli Stati Uniti, e al momento l’unico al mondo, ad approvare una legge specifica per proteggere le lavoratrici in menopausa. Con la nuova normativa, i datori di lavoro dovranno offrire “accomodamenti ragionevoli” per gestire i sintomi, come pause più lunghe, ambienti a temperatura controllata, orari più flessibili e accesso a risorse per la salute. La legge riconosce dunque un aspetto spesso ignorato: la perimenopausa e la menopausa possono avere conseguenze economiche importanti per le donne, legate a cali di produttività, aumento dei giorni di malattia e difficoltà nel gestire sintomi come vampate, ansia e brain fog. Tutto questo può pesare sugli stipendi e rallentare le carriere. Si tratta di un’estensione delle tutele già esistenti per gravidanza e parto, che ora riconoscono la menopausa come una fase naturale della vita che merita pari dignità e supporto. Come ha dichiarato la rappresentante Karen Alzate: «Le donne non dovrebbero rischiare discriminazioni sul lavoro a causa di un fenomeno naturale che non possono controllare». Un passo importante per abbattere lo stigma e costruire luoghi di lavoro più inclusivi. La speranza è che altri Paesi seguano l’esempio. E tu, pensi che in Italia servirebbero tutele simili? #Menopausa #Vampate #Lavoro #Salute #Carriera
C’è chi è sempre puntuale al minuto. E chi, anche guardando l’orologio ogni due minuti, riesce comunque ad arrivare in ritardo. E se questo fosse dovuto alla propria time personality? Si tratta di un concetto introdotto dall'antropologo Edward T. Hall negli anni '50: la maggior parte delle persone rientra in una di due categorie di gestione del tempo, ovvero monocronici o policronici. I monocronici vedono il tempo come lineare e strutturato: un compito alla volta, idealmente pianificato e ordinato. I policronici, invece, trattano il tempo come flessibile e fluido, adattandosi alle situazioni e muovendosi tra più attività contemporaneamente. Come per la tendenza a essere introversi o estroversi, non stiamo parlando di una regola rigida, ma piuttosto di un modo di leggere il mondo: esso, infatti, influisce su come organizzi le tue giornate e su quanto ti pesano i cambi di programma. Entrambi gli approcci hanno punti di forza e limiti: il pensiero monocronico aiuta a concentrarsi e completare le attività in modo ordinato, ma rischia di farti perdere le opportunità nate per caso. Quello policronico brilla nel caos: sa adattarsi, trovare soluzioni creative e non va in crisi quando le cose cambiano, ma può dare poca stabilità e ordine. Capire la propria time personality (e quella degli altri) non ti renderà automaticamente più puntuale o meno stressato, ma ti aiuterà a non prendere tutto sul personale. Quindi, la prossima volta che qualcuno dice “arrivo tra cinque minuti”, ma in realtà è ancora sotto la doccia… respira. Non ti sta mancando di rispetto: vive semplicemente su una frequenza temporale diversa dalla tua. #Ritardo #Personalità #SaluteMentale #Puntualità #TimePersonality
Alle 2 di notte, la mente non si rilassa: apre un after party e invita tutti i pensieri della giornata. #Sonno #SaluteMentale #Benessere #Stress #Insonnia #Meme