Un esame spesso rimandato, tra timori, costi e scarsa informazione, ma rinunciare alla prima mammografia potrebbe avere conseguenze molto più gravi di quanto si pensi.
Una nuova ricerca pubblicata sul British Medical Journal (BMJ) rivela infatti che le donne che non effettuano il primo screening presentano un rischio sensibilmente più alto di sviluppare tumori al seno in fase avanzata e di morire a causa della malattia.
Una ricerca che cambia la prospettiva sulla prevenzione
Lo studio, condotto su oltre 430.000 donne svedesi tra il 1991 e il 2020, ha analizzato l’aderenza ai programmi di screening mammografico nel corso di 25 anni.
Inizialmente l’invito al primo esame avveniva a 50 anni, ma dal 2005 l’età è stata abbassata a 40 anni, in linea con le nuove raccomandazioni preventive.
I risultati sono inequivocabili: chi non ha effettuato la prima mammografia ha mostrato un rischio di morte per tumore al seno superiore del 40% rispetto a chi ha aderito allo screening. Non solo: il rischio di diagnosi in stadio 3 è risultato più alto del 53%, mentre quello di tumore in stadio 4 addirittura quasi triplicato (+260%).
L’assenza della prima mammografia, sottolineano i ricercatori, si associa anche a una maggiore probabilità di saltare gli screening successivi, riducendo così le possibilità di individuare precocemente una lesione.
Non più casi, ma diagnosi più tardive
Un dato sorprendente dello studio è che il numero complessivo di casi di tumore al seno non varia in modo significativo tra chi ha effettuato la prima mammografia e chi no: nel primo gruppo è stato diagnosticato il 7,8% dei casi, contro il 7,6% del secondo.
La differenza sostanziale emerge però nella tempestività della diagnosi: le donne che hanno rimandato il primo esame tendono a scoprire la malattia in fasi più avanzate, quando le cure sono più complesse e le possibilità di guarigione si riducono drasticamente.
Gli esperti spiegano che la mammografia permette di individuare lesioni molto piccole e tumori in fase iniziale, spesso non palpabili. Ritardare lo screening significa, quindi, concedere tempo alla malattia di crescere e diffondersi.
Barriere sociali e disuguaglianze nella prevenzione
Il mancato accesso alla mammografia non dipende solo da scelte personali, secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), negli Stati Uniti le barriere più comuni sono rappresentate da difficoltà economiche, isolamento sociale, mancanza di mezzi di trasporto e insicurezza abitativa o alimentare.
Questi fattori sociali contribuiscono a creare disuguaglianze sanitarie, penalizzando in particolare le donne con basso reddito o appartenenti a minoranze etniche, che più spesso ricevono diagnosi tardive e prognosi peggiori.
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La prevenzione in Italia: controlli personalizzati e attenzione all’età
In Italia, le linee guida nazionali elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dall’Osservatorio Nazionale Screening delineano un percorso di prevenzione strutturato e graduale.
Il programma di screening organizzato è rivolto principalmente alle donne tra i 50 e i 69 anni, con una mammografia ogni due anni, mentre alcune regioni, come la Lombardia, hanno anticipato l’offerta a partire dai 45 anni, prevedendo una cadenza annuale per le fasce più giovani.
Oltre ai programmi pubblici, le indicazioni cliniche suggeriscono un approccio più personalizzato, che inizia già in età precoce.
Come ricorda la Dr.ssa Veronica Zuber, chirurga senologa e referente della Chirurgia della Mammella nella Breast Unit IRCCS dell'Ospedale San Raffele a Milano, in un’intervista rilasciata sul nostro portale, “i controlli senologici dovrebbero iniziare dai 20 anni con l’autopalpazione, per poi proseguire con esami strumentali a seconda dell’età e dei fattori di rischio”.
Nelle donne asintomatiche e senza familiarità, l’ecografia mammaria annuale è consigliata a partire dai 30 anni, mentre la mammografia, spesso associata all’ecografia, viene raccomandata dopo i 40 anni con cadenza annuale.
Dopo i 50 anni, in assenza di particolari fattori di rischio, la mammografia può essere eseguita ogni due anni, poiché, nonostante l’incidenza aumenti con l’età, i tumori mammari post-menopausa tendono a essere meno aggressivi e a crescere più lentamente.
Nei casi di familiarità importante, invece, i controlli dovrebbero essere anticipati ai 35 anni o anche prima, mantenendo una frequenza annuale anche dopo la menopausa. Per le donne portatrici di mutazioni genetiche come BRCA1 o BRCA2, si raccomanda un protocollo di sorveglianza più intenso, con controlli semestrali alternando mammografia o ecografia a risonanza magnetica mammaria.
L’obiettivo resta uno solo: intercettare la malattia nel momento in cui è ancora curabile. La diagnosi precoce continua a essere l’arma più efficace per ridurre mortalità e aggressività del tumore, e rappresenta una tappa imprescindibile della salute femminile a ogni età.
Rinviare i controlli può significare scoprire la malattia troppo tardi: anche se la mammografia può risultare fastidiosa, garantire alle donne informazioni chiare e un facile accesso agli screening è essenziale per trasformare la prevenzione in un gesto di cura e consapevolezza.
Fonti:
- British Medical Journal - First mammography screening participation and breast cancer incidence and mortality in the subsequent 25 years: population based cohort study