Un nuovo studio dell’Università di Cambridge, pubblicato su Nature Microbiology, suggerisce un possibile impatto inatteso di numerose sostanze chimiche sul microbiota umano.
L’analisi, condotta su oltre 1.000 composti di uso agricolo e industriale, mostra che più di 150 sostanze sono in grado di danneggiare i batteri intestinali più comuni e di favorire l’emergere di ceppi resistenti agli antibiotici. Una scoperta che invita a riconsiderare il modo in cui si valuta l’esposizione quotidiana ai composti chimici e le sue implicazioni sulla salute.
Oltre 150 sostanze chimiche in grado di alterare il microbiota
La ricerca ha testato gli effetti di un’ampia gamma di sostanze, tra pesticidi, plastificanti e altri composti industriali, su 22 specie di batteri intestinali. I risultati indicano che più di 150 molecole influenzano in modo significativo la crescita o la sopravvivenza di questi microrganismi.
La prima firmataria dello studio, Indra Roux, sottolinea che molte di queste sostanze sono state progettate per colpire bersagli specifici, come insetti o funghi, ma finiscono per agire anche sui batteri benefici che popolano l’intestino.
Si tratta di un effetto inatteso, rilevante perché il microbiota svolge un ruolo findamentale nella digestione, nel metabolismo e nella regolazione immunitaria.
Interferenze inattese e aumento della resistenza agli antibiotici
Lo studio evidenzia anche un altro fenomeno preoccupante: alcune sostanze chimiche favoriscono la selezione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, in particolare alla ciprofloxacina, uno dei farmaci più utilizzati.
Secondo gli autori, l’esposizione dei batteri intestinali a composti industriali come plastificanti e ritardanti di fiamma può spingere i microrganismi più resistenti a prevalere sugli altri.
Il coordinatore della ricerca, Kiran Patil, spiega che questi risultati derivano da esperimenti in vitro, ma suggeriscono l’urgenza di approfondire se effetti simili possano verificarsi anche nell’organismo umano, dove l’esposizione a sostanze chimiche avviene quotidianamente attraverso alimenti, ambiente e prodotti di uso comune.
Perché queste interazioni meritano attenzione
Le interazioni tra sostanze chimiche e microbiota non sono ancora del tutto comprese, ma lo studio suggerisce un potenziale impatto sistemico. Il microbiota intestinale contribuisce a:
- modulare il sistema immunitario;
- favorire l’assorbimento dei nutrienti;
- produrre molecole protettive;
- regolare l’infiammazione.
Un’alterazione prolungata di questo ecosistema può generare disbiosi, condizione associata a malattie metaboliche, disturbi gastrointestinali, alterazioni immunitarie e maggiore suscettibilità alle infezioni.
Se alcune sostanze di uso comune destabilizzano il microbiota o favoriscono lo sviluppo di resistenze antimicrobiche, l’impatto sulla salute pubblica potrebbe risultare significativo.
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Un nuovo approccio alla sicurezza chimica
Gli autori dello studio invitano a rivedere i modelli con cui si valutano i rischi dei composti industriali e agricoli. Attualmente, la maggior parte dei test di sicurezza si concentra sulla tossicità diretta per l’essere umano o sull’impatto ambientale, senza considerare gli effetti che queste molecole possono avere sul microbiota.
Secondo i ricercatori, programmi di screening chimico più completi potrebbero prevenire conseguenze indesiderate, riducendo il rischio di perdita dei batteri benefici e di diffusione della resistenza antimicrobica.
Una revisione delle normative ambientali e alimentari potrebbe rappresentare un passo decisivo in questa direzione.
Sebbene i risultati siano stati ottenuti in laboratorio, l’indagine dell’Università di Cambridge apre una prospettiva di ricerca che potrebbe cambiare il modo in cui si valutano i rapporti tra microbiota, ambiente e salute.
Comprendere come l’intestino reagisce alle sostanze presenti nell’ambiente potrebbe aiutare a definire nuove politiche di prevenzione, capaci di proteggere uno degli ecosistemi più delicati del corpo umano.
Fonti:
Nature Microbiology (novembre 2025)- Industrial and agricultural chemicals exhibit antimicrobial activity against human gut bacteria in vitro