L’ambroxolo è un agente mucolitico presente comunemente nello sciroppo per la tosse, i cui effetti nel rallentamento della progressione del Parkinson sono stati ampiamente osservati all’interno di uno studio.
Scopriamo di più.
La sperimentazione con ambroxolo
All’interno della revisione scientifica, i soggetti trattati con ambroxolo hanno mostrato una stabilizzazione dei sintomi neuro-cognitivi e psichiatrici più comuni – come allucinazioni, deliri, anomalie dell’attività motoria, ansia e irritabilità – indicando che il principio attivo è in grado di preservare le funzioni cerebrali.
I pazienti hanno, inoltre, mostrato un miglioramento delle funzioni cognitive e una diminuzione del numero di cadute rispetto ai partecipanti non trattati con tale farmaco.
Ma perché capita? Secondo uno studio precedente, nel morbo di Parkinson si accumulano i corpi di Lewy, composti da alfa-sinucleina: quando questa proteina aumenta, l’enzima GCase diminuisce. L’ipotesi è che un’alta dose di ambroxolo possa aumentare i livelli di GCase e ridurre le aggregazioni di alfa-sinucleina, contrastando così la neurodegenerazione.
Lo studio odierno ha coinvolto 55 pazienti con demenza associata alla malattia ed è durato un anno, monitorando i sintomi psichiatrici, i livelli di memoria e di glucocerebrosidasi (GFAP), un marcatore ematico collegato al danno cerebrale.
Gli individui sono stati divisi in tre gruppi:
- chi è stato trattato con ambroxolo a basso dosaggio (525 mg al giorno);
- chi ad alto dosaggio (1050 mg al giorno);
- il gruppo placebo.
Lo studio
Al termine del trattamento, i risultati hanno suggerito che chi è stato sottoposto regolarmente alla cura ad alto dosaggio ha gestito meglio alcuni dei sintomi più gravi del morbo di Parkinson.
Il farmaco, quindi, si è rivelato sicuro, ben tollerato e ha raggiunto livelli terapeutici nel cervello. Inoltre, i sintomi psichiatrici sono peggiorati nel gruppo placebo, ma sono rimasti stabili nei pazienti trattati con il principio attivo in questione.
I soggetti con varianti del gene GBA1 ad alto rischio hanno mostrato prestazioni cognitive migliorate grazie all’ambroxolo. I livelli del marcatore del danno alle cellule cerebrali GFAP, invece, sono aumentati nel gruppo placebo, ma sono rimasti stabili nei pazienti trattati con il farmaco, indicando una potenziale protezione cerebrale.
Secondo i ricercatori, le attuali terapie per il morbo di Parkinson e la demenza affrontano i sintomi, ma non bloccano la malattia sul nascere. I risultati suggeriscono, perciò, che l’ambroxolo può proteggere le funzioni cerebrali, soprattutto nei soggetti geneticamente a rischio, offrendo una nuova promettente via terapeutica.