Influenza aviaria, boom senza precedenti: l’Europa corre ai ripari

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano
A cura di Mattia Zamboni
Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Data articolo – 27 Novembre, 2025

Provetta H5N1 positiva per influenza aviaria.

Negli ultimi mesi l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha richiamato con forza l’attenzione sulla diffusione crescente dell’influenza aviaria nel continente: l’ente, infatti, sottolinea l’urgenza di intensificare la sorveglianza e rafforzare le misure di biosicurezza, considerati oggi strumenti imprescindibili per contenere un fenomeno che sta assumendo proporzioni inedite.

Scopriamo di più.

Lo scenario odierno

Secondo i dati raccolti dall’Efsa, tra il 6 settembre e il 14 novembre 2025 sono stati identificati 1.443 episodi di influenza aviaria ad alta patogenicità A(H5) tra gli uccelli selvatici in 26 Paesi europei. È un incremento significativo: circa quattro volte il numero registrato nello stesso periodo dell’anno precedente.

È anche il dato più elevato dal 2016, a conferma di un virus sempre più presente nei corridoi migratori e nelle aree umide del continente.

Una parte consistente degli uccelli colpiti è costituita da specie acquatiche, nelle quali il virus ha circolato con particolare intensità. In alcune aree europee, inoltre, l’H5 è stato rintracciato anche in animali apparentemente sani.

Questo elemento, evidenzia l’Efsa, suggerisce una contaminazione ambientale molto più ampia del previsto e spiega l’insorgenza di focolai ad alta mortalità, come quelli osservati recentemente nelle popolazioni di gru in Germania, Francia e Spagna.


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La sorveglianza condotta mostra che il 99% dei casi confermati è riconducibile al ceppo A(H5N1). Nella maggior parte dei rilevamenti è stata identificata una variante emergente, derivata da un lignaggio già noto e introdotto in Europa da est, poi diffusosi rapidamente verso ovest.

Per questo motivo, l’Efsa ribadisce la necessità di un monitoraggio costante e di misure di prevenzione più rigorose negli allevamenti, con l’obiettivo di intercettare l’infezione nella fase iniziale ed evitare che il virus passi dagli uccelli selvatici ai volatili domestici.

Le raccomandazioni dell’Efsa

Per arginare il rischio e tutelare sia la fauna selvatica si che gli allevamenti, l’Autorità propone una serie di linee d’azione rivolte alle istituzioni e agli operatori del settore:

  • coinvolgere nel sistema di sorveglianza anche i centri di recupero e riabilitazione della fauna selvatica, assicurando livelli adeguati di biosicurezza;
  • evitare l’alimentazione artificiale delle specie più sensibili – come cigni e gru – nei periodi critici, per limitare gli assembramenti e quindi il rischio di trasmissione;
  • intensificare la sorveglianza negli allevamenti per individuare tempestivamente eventuali introduzioni del virus;
  • garantire standard elevati di biosicurezza in tutte le fasi della gestione degli allevamenti, comprese eventuali operazioni di abbattimento;
  • rimuovere rapidamente le carcasse degli uccelli selvatici infetti per ridurre la contaminazione ambientale e limitare il contagio ad altri animali;
  • minimizzare le attività che possono disturbare le popolazioni selvatiche, tra cui caccia, attività ricreative o l’uso di droni, così da non favorire ulteriormente la diffusione del virus;
  • prevedere misure di confinamento dei volatili domestici nelle aree in cui sono stati confermati casi di HPAI tra gli uccelli selvatici o episodi di mortalità anomala;
  • concentrarsi sulle zone umide e sui principali siti di sosta migratoria quando si monitorano le popolazioni selvatiche, sia all’interno dell’Europa sia rotte esterne.

La situazione secondo l’Ecdc

Il documento del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, invece, si prefissa di aiutare i Paesi europei a potenziare la capacità di individuare precocemente eventuali casi di coinvolgimento umano, soprattutto durante la stagione influenzale – quando, cioè, sintomi respiratori comuni potrebbero nascondere qualcosa di diverso dalla normale influenza stagionale.

Per questo il Centro europeo invita ospedali, clinici e laboratori ad aumentare il numero di test per l’influenza e, soprattutto, a non fermarsi a una diagnosi generica. Ogni volta che un paziente risulta positivo a un’influenza di tipo A, suggerisce l’ECDC, vale la pena approfondire identificando il sottotipo virale, così da capire se si tratta di un ceppo stagionale o di una variante di origine animale.

Questo approccio è fondamentale soprattutto nelle zone in cui sono stati segnalati casi nei volatili o in mammiferi: in questi contesti, infatti, gli operatori sanitari dovrebbero abituarsi a chiedere ai pazienti se hanno avuto contatti con animali malati, carcasse o ambienti potenzialmente contaminati.Primo piano su provetta con etichetta H5N1.

Allo stesso modo, chi ha un’esposizione nota deve essere monitorato per circa due settimane: se compaiono sintomi, è importante intervenire subito con un test e con le misure di isolamento necessarie.

Il documento ricorda anche che alcune forme severe o inusuali di malattia – come certe infezioni respiratorie acute o encefaliti non spiegate – possono meritare un controllo aggiuntivo per influenza A, anche quando mancano fattori di rischio evidenti. 

Accanto alla sorveglianza tradizionale, il testo suggerisce di sfruttare anche strumenti complementari come l’analisi delle acque reflue. In alcuni Paesi europei questo tipo di monitoraggio è già attivo e si sta dimostrando utile per cogliere segnali precoci della circolazione virale, anche quando i casi clinici sono pochi o asintomatici.

Fonti:

  • EFSAInfluenza aviaria in Europa: impennata nel rilevamento dei casi. Imperativo rafforzare la sorveglianza e applicare stringenti misure di biosicurezza
  • ECDCSurveillance and targeted testing for the early detection of zoonotic influenza in humans during the winter period in the EU/EEA
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