Identificata la molecola in grado di inibire il Coronavirus

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano
A cura di Mattia Zamboni
Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Ultimo aggiornamento – 02 Luglio, 2025

Ricercatrice osserva campione al microscopio in laboratorio
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Un team di ricerca dell'Università del Kansas, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica del McDaniel College, della Facoltà di Biochimica e Medicina Molecolare e Biocentro Oulu dell'Università di Oulu (Finlandia) ha creato una molecola in grado di colpire efficacemente un punto debole dei coronavirus.

Scopriamo di più.

Le sperimentazioni

Gli scienziati, all’interno di uno studio, hanno osservato e individuato un importante gruppo di patogeni comprendenti i virus responsabili di un comune raffreddore e quelli di malattie come MERS, SARS e COVID-19.

L’obiettivo era quello scoprire delle molecole capaci di inibire l’innesco di questi virus: si è, quindi, individuata una componente della proteina non strutturale 3 (NSP3), nota come macrodominio o Mac1, che gioca un ruolo fondamentale nella replicazione virale della malattia.

Il team ha identificato la nuova molecola dopo numerosi test, scoprendo che quella che hanno deciso di chiamare 4B si legava molto bene alla Mac1.

Ma come si è svolta la sperimentazione? Sono stati avviati dei test antivirali con cellule in coltura per valutarne l'efficacia contro le infezioni e potenzialmente l'innesco delle patologie. Purtroppo, però, i risultati iniziali non hanno riscontrato successo.

Un'analisi più attenta ha fatto intuire che il problema risiedeva nella catena laterale acida, che non permetteva a 4B di penetrare attraverso la membrana cellulare e raggiungere le particelle virali del coronavirus.

Dopo le opportune modifiche, grazie alle quali l'acido è stato trasformato in un estere permeabile, l’esito è andato a buon fine.

Le novità

Il team di ricerca ha iniziato a osservare una grande attività antivirale, riuscendo a rendere il composto permeabile alle cellule e funzionale in coltura cellulare.

I test sono stati estremamente promettenti sia con cellule coltivate in vitro (umane e di topo) infettate dal coronavirus SARS-CoV-2: secondo gli autori dello studio, il prossimo passo sarà quello di verificare l'efficacia dell'inibitore in un modello murino vivente, per determinare l'effettiva capacità antivirale.

Gli autori dello studio sottolineano che i virus possono creare delle resistenze a questi inibitori (come accade per gli anticorpi dei vaccini e delle precedenti infezioni che si legano alla proteina S o spike del patogeno), tuttavia il macrodominio è un elemento critico e, anche innanzi a una potenziale resistenza, ne escono fortemente indebolite.

Potrebbe essere un'arma preziosissima in grado di contrastare non solo i coronavirus attualmente circolanti, ma anche quelli che in futuro potrebbero scatenare una nuova pandemia. 

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