Fumo: anche poche sigarette possono essere pericolose

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano
A cura di Mattia Zamboni
Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Ultimo aggiornamento – 19 Novembre, 2025

Una persona che fuma

Ridurre il numero di sigarette non basta: anche fumare poco, tra le due e le cinque sigarette al giorno, comporta un aumento significativo del rischio cardiovascolare e di mortalità.

I dati parlano chiaro: persino un consumo minimo aumenta del 50% il rischio di insufficienza cardiaca e del 60% quello di morte per qualsiasi causa rispetto a chi non ha mai fumato. È un messaggio inequivocabile: non esiste un livello “sicuro” di fumo.

A specificarlo è una delle analisi più vaste mai condotte sul tema: lo studio “Association between cigarette smoking status, intensity, and cessation duration with long-term incidence of nine cardiovascular and mortality outcomes”, pubblicato su PLOS Medicine dal Cross-Cohort Collaboration.

Fumo e rischio cardiovascolare

L’indagine ha coinvolto circa 323.826 adulti inseriti in 22 studi prospettici, analizzando lo status del fumatore, l’intensità del consumo e il tempo trascorso dall’abbandono del fumo – esaminando nove esiti clinici, tra cui infarto, ictus, malattia coronarica, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca e mortalità per tutte le cause.

Ciò che emerge è che i fumatori attuali, rispetto ai non fumatori, hanno un rischio molto più alto per tutti gli esiti considerati: l’analisi, infatti, ha mostrato che anche chi fuma solo 2/5 sigarette al giorno presenta un rischio di circa 1.6 per la mortalità totale.

La relazione dose-risposta rivela, inoltre, che il rischio cresce rapidamente con le prime sigarette e con i primi 20 pacchetti all’anno, segno che già un’esposizione relativamente bassa è sufficiente per innescare i principali meccanismi dannosi.


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Secondo il team di ricerca, questo accade perché il fumo altera profondamente il funzionamento del sistema cardiovascolare: accelera la frequenza cardiaca, aumenta la pressione arteriosa, riduce la quantità di sangue che scorre nelle arterie e sottrae ossigeno ai tessuti. Inoltre, costringe il cuore a lavorare di più, proprio mentre il flusso che dovrebbe nutrirlo diminuisce.

La nicotina, inoltre, restringe le arterie e altera i lipidi circolanti, aumentando le LDL e favorendo l’accumulo di colesterolo nei vasi. Il risultato è un ambiente ostile che, nel tempo, incrementa il rischio di infarti, ictus e occlusioni vascolari.

Il cuore da fumatore

A livello strutturale, il cuore di chi fuma lavora costantemente oltre le sue possibilità: studi precedenti hanno mostrato che nei fumatori il ventricolo sinistro tende ad avere un volume minore e una capacità ridotta di contrarsi efficacemente. In altre parole, il cuore perde energia: pompa meno sangue, più lentamente e con maggior sforzo.

È il quadro tipico dell’insufficienza cardiaca, una condizione cronica e debilitante in cui i tessuti non ricevono abbastanza ossigeno e l’organismo entra in una spirale di compensazioni sempre più difficili da sostenere.

Un dato particolarmente interessante riguarda gli ex-fumatori: lo studio conferma che il rischio inizia a diminuire già nei primi anni dopo la cessazione e continua a calare nei successivi 10/20 anni, avvicinandosi in molti casi a quello di chi non ha mai fumato.Una persona che fuma

Il tempo dalla cessazione, ancor più del carico totale di fumo accumulato, si rivela un fattore determinante nella riduzione del rischio cardiovascolare. Tuttavia, resta una leggera differenza anche dopo decenni di astinenza, motivo per cui non iniziare affatto a fumare rimane la strategia migliore; la seconda è smettere il prima possibile.

Lo studio, però, presenta alcuni limiti – come la misurazione del consumo solo al basale e la mancanza di dati su altri prodotti del tabacco o dispositivi a nicotina – ma la forza del campione e la coerenza dei risultati rendono le conclusioni estremamente solide.

Queste evidenze hanno implicazioni chiare per la sanità pubblica e per la pratica clinica: ridurre il numero di sigarette non equivale a smettere e non elimina il rischio; anche i fumatori leggeri meritano interventi di supporto alla cessazione, perché sono comunque esposti a conseguenze rilevanti.

Fonti:

  • Plos MedicineAssociazione tra stato di fumo di sigaretta, intensità e durata della cessazione con incidenza a lungo termine di nove esiti cardiovascolari e di mortalità: la Cross-Cohort Collaboration (CCC)
  • Eurekalert!Smoking is even more damaging to the heart than previously thought
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