Alzheimer: una proteina nei neonati apre nuovi scenari di cura

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Ultimo aggiornamento – 16 Luglio, 2025

Neonato che dorme serenamente sulla spalla di un adulto, in un ambiente domestico luminoso.

I ricercatori dell’Università di Göteborg hanno analizzato i livelli di p-tau217 (un biomarcatore dell’Alzheimer) in diverse fasce di età, osservando vari campioni di sangue di 462 persone – tra cui neonati sani, neonati prematuri, giovani adulti, anziani e persone con demenza.

Lo studio ha rivelato una elevata quantità di questa proteina nei bambini appena nati, aprendo le porte nuovi scenari: scopriamo quali.

La proteina p-tau217

L’indagine si basa sulla rilevazione della proteina p-tau217, la quale aiuta a mantenere la stabilità delle cellule cerebrali, permettendone la comunicazione.

Quando però viene fosforilata a livello residuo amminoacidico 217 – ovvero quando viene aggiunto un gruppo fosfato per attivare o disattivare enzimi, regolare segnali cellulari o immagazzinare energia – essa va a modificare la sua funzione, aggregandosi e formando grovigli di tau nel cervello.

Nei neonati, però, questo non avviene: tali soggetti risultano completamente sani nonostante abbiano livelli di p-tau-217 molto elevati che, in alcuni casi, vanno addirittura a superare le quantità osservate nelle persone con Alzheimer.

Il ruolo fisiologico svolto nei più piccoli da questa proteina, però, è ancora sconosciuto: precedenti ricerche, basate principalmente su modelli animali, hanno suggerito come la p-tau-17 possa aiutare a generare nuove connessioni sinaptiche.

I bambini nati prima delle 37 settimane di gestazione, infatti, presentavano livelli più elevati della proteina: secondo i ricercatori, dunque, tutto ciò suggerisce un ruolo nel supportare una rapida crescita del cervello in condizioni di sviluppo difficili.

L’importanza dei risultati

Nello specifico, maggiori quantità di p-tau217 sono state trovate nel sangue dei neonati prematuri e in quelli a termine: ciò porta gli scienziati a pensare che più precoce è il parto, maggiori sono i livelli di questa proteina.

Lo studio indica che tali livelli tendono a diminuire sensibilmente durante i primi mesi di vita, per poi risalire nelle persone con morbo di Alzheimer (senza però raggiungere i livelli osservati nei neonati prematuri).

La ricerca, dunque, sottolinea che le concentrazioni più elevate di p-tau217, negli adulti, sono associate al declino cognitivo, invece nei neonati le maggiori quantità sarebbero responsabili nel promuovere un sano sviluppo cerebrale, aiutando i neuroni a crescere e formare nuove connessioni.

Secondo il team, le evidenze emerse indicano che nella prima infanzia il cervello presenta una protezione contro gli effetti dannosi della proteina tau – senza che questa vada a innescare i danni dell’Alzheimer.

I risultati della ricerca possono condurre a una migliore comprensione di questo meccanismo protettivo e contribuire allo sviluppo di cure per l’Alzheimer: capire come il cervello dei neonati tenga sotto controllo la proteina tau può aiutare a imitare questi processi per rallentare o arrestare il decadimento cognitivo sul nascere.

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano
Scritto da Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano

Mattia Zamboni è un professionista della comunicazione con una solida esperienza nella divulgazione di temi legati alla salute e al benessere. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione con focus sullo storytelling, ha oltre dieci anni di esperienza nel giornalismo e nella produzione di contenuti editoriali.

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