Alzheimer, memoria ripristinata nei topi: la nuova scoperta accende le speranze

Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ultimo aggiornamento – 01 Settembre, 2025

Un uomo anziano abbraccia e bacia una donna anziana sulla testa, con le braccia avvolte intorno a lei in modo protettivo.

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'INSERM, dell'Università di Bordeaux (Francia) e del Dipartimento di Biologia dell'Università di Moncton (Canada), che hanno collaborato a stretto contatto con l'Istituto di ricerca medica Hospital del Mar di Barcellona (Spagna), il Dipartimento di neuroscienze dell'Università dei Paesi Baschi UPV/EHU e il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell'Università di Catania, è riuscito a ripristinare la memoria in modelli murini (topi) con demenza – potenziando anche l’attività dei mitocondri.

Ecco i dettagli della ricerca pubblicata su Nature Neuroscience.

La sperimentazione del mitoDreadd-Gs

Gli scienziati, tra cui anche Giovanni Marsicano e Luigi Bellocchio dell'Endocannabinoids and Neuroadaptation U1215 NeuroCentre Magendie dell'INSERM, hanno sviluppato uno strumento artificiale chiamato mitoDreadd-Gs ((Designer Receptor Exclusively Activated by Designer Drugs, accoppiato alla proteina Gₛ) per stimolare l'attività mitocondriale nel cervello.

Si tratta di un recettore artificiale mirato ai mitocondri, in grado di attivare proteine G all’interno di questi organelli, aumentando il potenziale di membrana e il consumo di ossigeno.

Si utilizzano, quindi, dei farmaci per stimolare questo recettore, andando a dimostrare che potenziare l'attività dei mitocondri può riequilibrare le anomalie energetiche e invertire di, conseguenza, la perdita di memoria.


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Il trattamento è stato somministrato a topi con la forma murina di Alzheimer, demenza frontotemporale e con deterioramento cognitivo innescato da cannabinoidi.

I ricercatori sono riusciti a ripristinare sia le prestazioni della memoria che l’attività mitocondriale e, secondo il team scientifico, questo risultato getta le basi per potenziali terapie innovative e rivoluzionarie.

L'Alzheimer è ancora una sfida aperta

Secondo i firmatari dello studio, si tratta della prima volta in cui si è stabilito un legame di causa-effetto tra disfunzione mitocondriale e sintomi correlati alle malattie neurodegenerative: tutto ciò, infatti, suggerirebbe che un'attività mitocondriale alterata potrebbe essere all'origine dell'insorgenza della degenerazione neuronale.

I risultati ottenuti sono senza dubbio promettenti, ma gli stessi autori sottolineano la necessità di ulteriori approfondimenti: la domanda cruciale, infatti, è se questo approccio innovativo possa davvero tradursi in terapie sicure ed efficaci per l’uomo, considerando che l’Alzheimer e le altre forme di demenza hanno origini complesse e multifattoriali.

Un esempio emblematico è rappresentato dalle cosiddette “proteine appiccicose”, come la beta-amiloide, che si accumulano nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer. Ancora oggi non è chiaro se queste placche siano la causa principale della malattia o una conseguenza di altri processi patologici.

Ciò che si sa, però, è che farmaci sperimentali come il Donanemab, un anticorpo monoclonale diretto proprio contro le placche di beta-amiloide, hanno mostrato di poter rallentare il declino cognitivo di circa il 35%. Questo lascia intravedere la possibilità che, in futuro, la combinazione di più strategie – come l’eliminazione delle placche insieme al potenziamento dei mitocondri – possa dare risultati ancora più rilevanti.

Le sfide del futuro

Il team mira ora a capire se la stimolazione prolungata dell’attività mitocondriale possa non solo attenuare i sintomi delle malattie neurodegenerative, ma persino ritardare la perdita di neuroni o prevenirla del tutto, qualora l’attività mitocondriale venga ristabilita.

Gli scienziati, però, invitano alla cautela: si è ancora in una fase di ricerca preclinica, condotta su modelli animali e cellule umane coltivate in laboratorio, quindi troppo presto per parlare di applicazioni cliniche.

Non si tratta di un punto di partenza casuale: già in precedenza, diversi studi avevano evidenziato il ruolo della disfunzione mitocondriale in varie patologie cerebrali, incluse le demenze. Del resto, il cervello è l’organo con il fabbisogno energetico più elevato del corpo, arrivando a consumare circa il 20% dell’energia complessiva.

Primo piano di una serie di scansioni cerebrali visualizzate su un monitor medico.

Ciò che fino ad ora era rimasto poco chiaro era la relazione di causa-effetto: i mitocondri alterati osservati nei pazienti con Alzheimer sono all’origine della malattia, o ne rappresentano un effetto secondario? Da questo interrogativo nasce l’idea del team di ricerca: provare a rafforzare artificialmente i mitocondri in modelli murini di demenza per capire se la memoria potesse essere recuperata.

I risultati ottenuti mostrano che attraverso questo intervento mirato è stato possibile ristabilire le funzioni compromesse, offrendo una nuova prospettiva nella lotta contro le malattie neurodegenerative.

Fonti:

  • Nature Neuroscience - Potentiation of mitochondrial function by mitoDREADD-Gs reverses pharmacological and neurodegenerative cognitive impairment in mice
  • Jama Neurology - Parental History of Memory Impairment and β-Amyloid in Cognitively Unimpaired Older Adults
Mattia Zamboni | Seo Content Specialist
Scritto da Mattia Zamboni | Seo Content Specialist

Ho conseguito la laurea in Scienze della Comunicazione con un particolare focus sullo storytelling. Con quasi un decennio di esperienza nel campo del giornalismo, oggi mi occupo della creazione di contenuti editoriali che abbracciano diverse tematiche, tra cui salute, benessere, sessualità, mondo pet, alimentazione, psicologia, cura della persona e genitorialità.

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