Il diabete non è solo una questione di glicemia, insulina e controlli periodici: si tratta di una condizione cronica che coinvolge la persona nel suo insieme – corpo e mente, abitudini e relazioni, pensieri e paure.
Spesso, infatti, l’attenzione si concentra solo sugli aspetti clinici e terapeutici, ma vivere con il diabete significa anche affrontare un percorso di accettazione, adattamento e motivazione che richiede equilibrio psicologico e sostegno.
Per questo oggi parliamo di psicologia e diabete insieme al Dr. Galia, psicologo, per capire come gli aspetti emotivi e comportamentali possano influire sulla gestione quotidiana della malattia e sul benessere complessivo di chi ne è affetto.
Ecco le domande che gli abbiamo posto.
Perché è importante parlare del diabete anche dal punto di vista psicologico e non solo medico?
Quella diabetica rappresenta una patologia sistemica, in grado cioè di colpire l’organismo su una molteplicità di apparati e livelli.
Anche se le conseguenze sul piano psichico sono spesso secondarie al danno organico, approcciarsi al diabete da un punto di vista emotivo e comportamentale è fondamentale per una serie di motivi:
- la comorbilità con patologie psichiatriche: nei pazienti diabetici, infatti, l’incidenza di patologie ansiose e depressive è doppia;
- si può parlare ad oggi di stress da diabete: molti pazienti sperimentano infatti un notevole disagio emotivo per via delle preoccupazioni relate alla patologia e alla sua gestione;
- l’aderenza alla terapia farmacologica e le capacità di autogestione, come vedremo, sono fortemente connesse a una quantità di fattori psicologici, tra cui l’accettazione della patologia e il senso di efficacia personale nel gestirla.
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È per questo motivo che in Italia e nel mondo è sempre più diffusa la figura dello psicodiabetologo: si tratta di una branca applicata della psicologia medica orientata a garantire il benessere biopsicosociale del paziente diabetico e a studiare la relazione tra mente e corpo nel contesto della patologia.
Già da anni le linee guida internazionali, come quelle dell’ADA (American Diabetes Association), e nazionali, come quelle della SID (Società Italiana di Diabetologia), raccomandano l’accesso a un supporto psicologico per i pazienti con diabete.
Quali sono le reazioni emotive più comuni dopo una diagnosi di diabete e come si può affrontare il processo di accettazione?
Le reazioni possono variare a seconda di numerosi fattori, tra cui:
- l’età in cui viene comunicata la diagnosi;
- la gravità del quadro patologico;
- le conseguenze che il paziente sperimenta al momento della diagnosi;
- le caratteristiche personologiche dell’individuo.
Le forme più adattive di reazione alla diagnosi tendono a seguire le fasi descritte nei principali modelli di elaborazione del lutto:
- una prima fase di shock e negazione, in cui il paziente può essere portato anche a ipotizzare a un errore diagnostico o a minimizzare l’entità della patologia;
- una fase di rabbia, caratterizzata da un senso di ingiustizia (“Perché proprio a me?”) o di ribellione contro il regime terapeutico;
- una fase di tristezza, che può essere pensata come l’emozione dell’accettazione: attraverso atteggiamenti rinunciatari e un costante focus sull’accaduto, la persona si prepara a vedere la realtà così com’è, gettando le basi per un comportamento più attivo e responsabile nei confronti della patologia;
- una fase di accettazione e cura di sé: l’accettazione non va considerata come un processo tutto-o-nulla, ma come una conquista quotidiana e che può essere messa nuovamente in discussione al presentarsi di nuovi eventi stressanti.
Di fondamentale importanza per favorire un’accettazione della patologia è la cosiddetta Patient Activation, un intervento clinico che si pone l’obiettivo di aumentare la responsabilizzazione del paziente e la sua motivazione a gestire la malattia in modo responsabile.
In che modo stress, ansia e altre emozioni possono influenzare i livelli di glicemia e la gestione quotidiana della terapia?
L’emozionalità negativa può esercitare un impatto profondo sia sulla glicemia che sulla gestione quotidiana del diabete, attraverso una serie di meccanismi biologici e comportamentali.
Tra gli effetti biologici possiamo includere le alterazioni del metabolismo: quando una persona vive situazioni di stress o ansia, l’attivazione di risposte di attacco-o-fuga fa sì che il corpo produca ormoni in grado di aumentare la glicemia; per quanto concerne invece gli effetti comportamentali, le emozioni intense possono influenzare i comportamenti di gestione della patologia.
A titolo di esempio:
- un forte stato ansioso può portare all’evitamento del monitoraggio della glicemia (“non voglio sapere quanto è alta”);
- una disregolazione emotiva può condurre a scelte alimentari impulsive (ad esempio la scelta di snack poco salutari);
- un’alterazione del ritmo sonno-veglia può incidere sulla regolazione glicemica;
- uno stato depressivo può amplificare il senso di impotenza fino alla rinuncia nella gestione della patologia (“tanto qualunque cosa io faccia non riesco a controllare la glicemia”.
Quando può essere utile il supporto di uno psicologo per chi vive con il diabete e quali approcci terapeutici si sono dimostrati più efficaci?
Quando si parla di psicoterapia è sempre molto difficile stabilire quali siano gli approcci più efficaci per un dato problema, in quanto esistono numerosi orientamenti teorici che non si sono ancora sottoposti a prove di efficacia.
Ne consegue che la selezione dell’approccio più efficace includerà esclusivamente quelli che dispongono di un supporto empirico.
Ad ogni modo, gli interventi più supportati dalla letteratura scientifica sono i seguenti:
- la terapia cognitivo-comportamentale (TCC), con effetti sia sulla sintomatologia depressiva dei pazienti diabetici, sia, e questo è degno di nota, sulla glicata, un valore che registra la quantità media di glucosio nel sangue negli ultimi 2-3 mesi;
- il colloquio motivazionale (IM), che ha migliorato l’aderenza alla terapia e la cura di sé, riducendo al tempo stesso la glicata;
- interventi basati sulla mindfulness (MBI), con effetti significativi sulla riduzione dello stress e della glicemia;
- Acceptance and Commitment Therapy (ACT), che si è dimostrata in grado di ridurre l’ansia e la glicata.
In generale, il supporto psicologico è consigliato quando sono presenti difficoltà di accettazione della diagnosi, scarsa aderenza alla terapia, ansia eccessiva legata alle misurazioni o anche paura del giudizio dei medici e dei familiari a causa di valori glicemici fuori target.
Quali strategie consiglia per convivere serenamente con il diabete, mantenendo equilibrio, motivazione e benessere psicologico?
Penso che la persona che desideri migliorare il proprio rapporto col diabete possa cominciare a domandarsi ogni giorno: «Cosa farei oggi di diverso se avessi già stabilizzato la glicemia e costruito un buon rapporto con questa condizione?».
Dopodiché si possono scrivere le prime 10/15 opzioni che ci vengono in mente. Le risposte possono essere le più disparate: «Mi farei la puntura davanti ai miei amici», «Spiegherei a un collega come iniettarmi il glucagone in caso di crisi ipoglicemica», «Mi informerei sulla possibilità di adottare un microinfusore».
A questo punto è necessario entrare in “modalità pigrizia” e portare a termine solo la più semplice tra le azioni elencate, quella fra tutte sembra la meno faticosa. Farlo tutti i giorni consente di realizzare un circolo virtuoso tale per cui, facendo ciò che farebbe una persona che si è adattata al diabete, si diventa effettivamente una persona ben adattata al diabete.