Spesso capita sentirsi sopraffatti dai propri pensieri, da ricordi e da emozioni che sembrano rincorrersi senza tregua. In certi momenti, la mente appare come un cassetto straripante, dove ogni tentativo di fare ordine fallisce e anche i pensieri più piccoli finiscono per appesantirci come macigni.
Ma perché questo accade? E soprattutto, come possiamo distinguere ciò che è utile trattenere da ciò che invece meriterebbe di essere lasciato andare?
Esistono tre step necessari per fare una sorta di “raccolta differenziata psicologica”: trattenere, riconoscere il momento del cambiamento e, infine, lasciare andare; tre fasi che non si escludono a vicenda, ma si integrano in un processo continuo di consapevolezza ed elaborazione emotiva.
Trattenere emozioni e ricordi: il bisogno di senso e identità
Il cervello umano ha una naturale tendenza a trattenere tutto ciò che possiede un impatto emotivo: questo accade perché emozioni e memoria sono profondamente intrecciate e ogni esperienza significativa, soprattutto se accompagnata da una forte carica emotiva, lascia traccia dentro di noi.
In questo senso, il trattenere non è un errore, ma un meccanismo evolutivo e adattativo che aiuta a dare senso alla realtà e a riconoscere segnali di pericolo o luoghi di sicurezza.
Inoltre, molti dei ricordi che custodiamo, anche quelli più dolorosi, contribuiscono a definire chi siamo: fanno parte del racconto che costruiamo su noi stessi, di una narrazione interna che ci dà identità e continuità nel tempo.
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È proprio questo attaccamento che spesso finisce per trasformarsi in una trappola: quando trattenere diventa un “meccanismo coartato”, quando non si riesce a lasciar andare vissuti, relazioni o esperienze che oggi non ci nutrono, rischiamo di rimanere prigionieri, troppo affezionati a un passato che ci ha dato forma e struttura, ma che oggi non ci rappresenta più.
A volte, dietro la difficoltà a lasciar andare si nasconde anche la paura del vuoto, della perdita, dell’incertezza. Ma, oltre a questa paura, scopriamo che il vero rischio è, piuttosto, quello di restare fermi, agganciati a un’idea di sé che non evolve, mentre la vita continua a scorrere.
Fare “decluttering emotivo”: riconoscere quando è il momento di alleggerire
Il termine “decluttering” è ormai entrato nel linguaggio quotidiano, spesso legato al fare ordine negli spazi fisici. Ma cosa succederebbe se applicassimo lo stesso concetto alla nostra vita interiore? Fare decluttering emotivo significa imparare a riconoscere ciò che occupa spazio nel nostro mondo psicologico, senza più avere una funzione sana o utile.
Un primo passo è ascoltare i propri segnali emotivi: l’ansia, la confusione mentale, la sensazione di essere bloccati in dinamiche intrapersonali e interpersonali che si ripetono sempre uguali, come in un circolo vizioso.
Quando questi segnali si fanno insistenti, è il momento di chiedersi: sto trattenendo qualcosa che non mi serve più?
Occorre precisare che fare decluttering del proprio spazio interno non equivale a un atto di rimozione o negazione del passato; al contrario, è un atto consapevole di discernimento: possiamo mettere in discussione relazioni che ci affaticano, ruoli sociali che non ci appartengono più e aspettative che non rispecchiano i nostri reali bisogni.
Liberare spazio emotivo significa creare le condizioni per accogliere ciò che ci fa bene oggi, e non solo ciò che è stato importante ieri.
Lasciare andare con gentilezza: strategie per farlo senza sensi di colpa
Lasciare andare non significa mettere in atto una rottura violenta, né fare una rinuncia dolorosa a parti di sé e della propria esperienza di vita.
È, anzi, un gesto di cura verso se stessi, un gesto morbido che dice: “Mi prendo cura di me, anche se questo significa chiudere un capitolo o fare un passo indietro”.
Le strategie che possono aiutare a lasciare andare possono essere molteplici, e variano da persona a persona. Uno strumento molto utile è la scrittura riflessiva (o journaling): mettere nero su bianco ciò che sentiamo aiuta a chiarire i pensieri e a dare un senso ai vissuti.
Anche il dialogo con una figura professionale, come uno psicologo, può facilitare questo processo, offrendo uno spazio protetto dove poter esplorare emozioni spiacevoli e pensieri scomodi e trovando insieme una lettura condivisa che dia loro un nome e un senso.
Il senso di colpa, nell’aver “abbandonato” un ricordo fa parte della gamma di emozioni umane e come tale ha una sua dignità e validità. Questa emozione esiste e, talvolta, bisogna entrare in contatto con essa, interrogarla e comprenderla, per poterla lasciare libera di fluire e di trasformarsi.
Insomma, cercare di evitare il senso di colpa, come per qualsiasi altra emozione, non è mai utile. – perché anche questa sensazione parla di noi e imparare a tollerare la presenza di emozioni talvolta spiacevoli è sempre la chiave per creare una vita libera, cucita su misura per sé.
Bisogna arrivare a pensare “anche se mi sento in colpa, so che questa è la scelta giusta per me”. E piano piano, la colpa lascerà spazio al nuovo.
Ricordiamo l’effetto del “vuoto buono”: lasciare andare consente di aprire uno spazio creativo e trasformativo. Meno rumore, più ascolto, più spazio per ciò che è davvero importante per noi oggi.
Mi piace citare una poesia di Patrizia Cavalli che amo molto:
“Ma davvero per uscire di prigione bisogna conoscere il legno della porta, la lega delle sbarre, stabilire l'esatta gradazione del colore? A diventare così grandi esperti, si corre il rischio che poi ci si affezioni. Se vuoi uscire davvero di prigione, esci subito, magari con la voce, diventa una canzone”
Fare ordine nel proprio mondo interno non è una forma di rinuncia, ma un atto profondo di cura. Trattenere ha senso solo se ciò che conserviamo ci nutre, ci aiuta a crescere, ci rappresenta. Lasciare andare ha senso se ciò che lasciamo ci impedisce di essere presenti alla vita, al nostro qui e ora, occupando spazio e utilizzando risorse cognitive ed emotive che potrebbero essere impiegate meglio altrove nel tempo dell’oggi.
A volte serve solo il coraggio di fermarsi, ascoltarsi e fare spazio.