ADHD e talento: Annie Lennox racconta la diagnosi che ha cambiato la sua vita

Emanuela Spotorno | Editor

Ultimo aggiornamento – 02 Ottobre, 2025

cantante al microfono

La voce inconfondibile degli Eurythmics, Annie Lennox, ha rivelato di aver ricevuto a 70 anni la diagnosi di ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività). Una confessione arrivata durante il programma Woman’s Hour della BBC che ha acceso i riflettori sul tema delle diagnosi tardive dei disturbi del neurosviluppo. 

La storia della cantante dimostra come la neurodivergenza possa influenzare un percorso artistico e personale, e come la scienza stia iniziando solo di recente a comprendere la portata del fenomeno negli adulti.

L’ADHD come superpotere creativo

Nel corso della sua intervista, Annie Lennox ha descritto l’ADHD come una condizione “difficile da gestire”, ma allo stesso tempo come una sorta di “superpotere” che ha alimentato curiosità, creatività e originalità. La cantante ha raccontato di aver finalmente trovato una spiegazione a molte esperienze della sua vita, interpretando sotto una nuova luce la sua sensibilità artistica, l’energia sul palco e la capacità di reinventarsi.

La sua testimonianza si inserisce in un dibattito sempre più ampio: secondo alcuni studi la maggior parte degli adulti con ADHD non riceve una diagnosi in età infantile, vivendo gran parte della vita senza consapevolezza del disturbo. Per molti, come Lennox, scoprirlo tardi significa dare nuovo significato al passato e accedere a strategie di supporto più efficaci.

Una rivelazione che sorprende

Parlando ai microfoni della BBC, Annie Lennox ha descritto il proprio funzionamento mentale con una metafora: «Sono come una gazza ladra, osservo tutto, sono estremamente sensibile». La cantante ha spiegato come la diagnosi sia arrivata solo di recente, dopo anni in cui ha convissuto con caratteristiche che ora trovano un nuovo significato. «Non è facile conviverci, ma è anche un superpotere», ha dichiarato, sottolineando come la sua creatività e sensibilità abbiano trovato nel disturbo una chiave di lettura diversa.

Lennox non è l’unica figura pubblica ad aver parlato di ADHD come di una risorsa tanto quanto di una sfida. La sua esperienza si inserisce in un dibattito sempre più vivo che spinge a considerare la neurodivergenza come un insieme di peculiarità da comprendere e valorizzare. Nel caso dell’artista britannica, questa prospettiva consente di rileggere momenti chiave della sua carriera – dall’energia delle performance live alla ricerca continua di innovazione musicale – come possibili espressioni di un pensiero divergente.

Diagnosi tardive: un fenomeno sottovalutato

L’ADHD è spesso associato all’infanzia, quando i sintomi tendono a emergere con maggiore evidenza, ma sempre più studi confermano come la diagnosi possa arrivare anche in età adulta. 

Negli adulti, infatti, le manifestazioni possono assumere forme meno riconoscibili, come difficoltà di organizzazione, instabilità emotiva o una costante sensazione di “mente in movimento”. Inoltre, molte persone imparano a mascherare o compensare i sintomi, soprattutto le donne, sviluppando strategie di adattamento che rendono più complesso il riconoscimento clinico. Per questo motivo non è raro che l’ADHD venga identificato solo tardivamente, offrendo però a chi ne riceve la diagnosi la possibilità di dare un nuovo significato alla propria esperienza di vita e di accedere a strumenti di supporto più mirati.


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Strumenti per riconoscerlo

Oggi la diagnosi si basa su criteri standardizzati come quelli del DSM-5 e su strumenti clinici specifici, tra cui il WURS (Wender Utah Rating Scale) e l’ASRS (Adult ADHD Self-Report Scale). Questi test, utilizzati insieme a colloqui approfonditi e valutazioni neurologiche, permettono di riconoscere il disturbo anche negli adulti, pur con le difficoltà legate alla sovrapposizione con altre condizioni psichiatriche.

La consapevolezza scientifica è cresciuta solo negli ultimi anni: se in passato l’ADHD era poco conosciuto e sottostimato, oggi la ricerca sottolinea l’importanza di riconoscere le diagnosi tardive come occasione per migliorare qualità di vita, relazioni e benessere personale.

La testimonianza di Annie Lennox si unisce a quella di altri personaggi pubblici che hanno scelto di raccontare il proprio rapporto con l’ADHD, contribuendo ad abbattere tabù e pregiudizi. Per la cantante, dare un nome a ciò che ha vissuto rappresenta un atto liberatorio, capace di ridare senso a esperienze passate e di offrire nuove chiavi di lettura per il presente.

Scoprire di avere l’ADHD a 70 anni non cambia ciò che è stato, ma apre alla possibilità di comprendersi meglio e di accedere a strategie più efficaci di gestione La vicenda di Annie Lennox non è solo una storia personale, ma un invito a guardare alla neurodivergenza con occhi diversi: non come un ostacolo, ma come una forma di ricchezza che può cambiare il modo in cui vediamo noi stessi e gli altri.”

Fonti:

  • PubMed - Attention-deficit/hyperactivity disorder in adults: a survey of current practice in psychiatry and primary care
Emanuela Spotorno | Editor
Scritto da Emanuela Spotorno | Editor

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