“Riuscirò a superare il peso del giudizio della mia famiglia?” è una domanda che incontro spesso nella mia pratica clinica, e che accomuna molte persone, indipendentemente dall’età, dal contesto culturale o dallo stile di vita.
In questo articolo approfondiremo come distinguere ciò che vogliamo davvero da ciò che ci è stato insegnato a desiderare, come affrontare il senso di colpa e il bisogno di approvazione e in che modo si può costruire un dialogo più sano e funzionale con la propria famiglia.
Scopriremo anche dei piccoli esercizi pratici per favorire il processo di “individuazione” psicologica.
Desideri autentici o desideri appresi?
Un passo fondamentale per sentirsi liberi dal giudizio familiare è domandarsi: “Quello che desidero è davvero mio, oppure è qualcosa che mi è stato trasmesso come giusto o auspicabile per me?”.
Spesso, infatti, fatichiamo a rispondere perché la nostra identità si forma, almeno in parte, all’interno di un sistema di valori e aspettative che ci precede.
Un esercizio utile è il “diario dei desideri”: scrivete ciò che vorreste per voi nei prossimi 5-10 anni, in modo spontaneo, poi rileggetelo, chiedendovi se ogni desiderio è mosso da un’autentica spinta personale o se invece risponde a un ideale familiare, a un bisogno di approvazione.
La chiave non è rinnegare l’influenza della famiglia, ma sviluppare una consapevolezza critica: riconoscere cosa ci appartiene davvero e cosa, invece, abbiamo interiorizzato senza scelta consapevole. Questo discernimento è il primo passo verso la libertà personale.
Il senso di colpa e il bisogno di approvazione
Molte persone provano senso di colpa quando iniziano a fare scelte diverse da quelle attese dalla famiglia: temono di deludere, di ferire, di apparire egoiste; in alcuni casi questo porta a rinunciare ai propri desideri pur di non incrinare il legame affettivo.
Il senso di colpa può essere un segnale del nostro funzionamento relazionale, ad esempio quando nasce dal timore di perdere l’amore degli altri, rischia di diventare una prigione invisibile.
Infatti, in molte famiglie affetto e conformità sono stati vissuti come inscindibili: “ti voglio bene, se fai come mi aspetto”.
Sui social la community di P. by pazienti.it ha risposto a delle stories che invitavano a raccontare in forma anonima la propria esperienza con il giudizio della famiglia e sono molte le sfaccettature di questo fardello.
Ecco alcune testimonianza ricevute: “Sì, l'ho avvertito purtroppo sulla mia disabilità evidente. Frasi come ‘tu non puoi essere una modella’, ma anche sulle giudizi sulle mie scelte nella quotidianità, come ‘vestiti normale che già così sei strana’” oppure “Sempre.... Solo negli ultimi anni con un lungo lavoro di terapia sto provando a non sentirlo ma ogni tanto ci ricado, purtroppo”.
Emerge, però, anche un barlume di speranza da chi ha già fatto un lungo lavoro su se stesso: “Non è necessario liberarsene ma solo riconoscerlo e stare fermi, non farsi influenzare. Puoi solo ignorarli, come fossi una pietra, sapendo che non occorre cambiare loro. Con me ha funzionato.”
Un esercizio utile per esplorare questo vissuto è quello della sedia vuota, tratto dalla terapia della Gestalt.
Immaginate di avere davanti a voi il genitore o il familiare che temete di deludere e parlate liberamente, dando voce ai vostri bisogni e paure; frasi come “mi dispiace deluderti” o “ho paura che mi amerai meno” spesso emergono e ci aiutano a riconoscere quanto il nostro senso di sé sia legato al giudizio altrui.
È importante ricordare che amare non significa sempre essere d’accordo: si può costruire un rapporto affettivo autentico anche partendo da visioni diverse.
Il senso di colpa, in questi casi, può essere trasformato: non più come indicatore di errore, ma come segnale di crescita e separazione affettiva sana.
Riconoscere il bisogno di approvazione e aprire un dialogo
Desiderare l’approvazione dei genitori è umano: da piccoli ne abbiamo estremo bisogno per sentirci al sicuro e amati. Ma se da adulti questo bisogno resta dominante, rischia di limitare la nostra libertà.
Un primo passo è imparare a riconoscere e validare le proprie scelte, anche quando sono diverse da quelle attese, e costruire un dialogo interno saldo aiuta a non dipendere completamente dal riconoscimento esterno.
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Quando ne sentiamo il bisogno, può essere utile aprire un confronto con la famiglia. Non si tratta di giustificarsi, ma di comunicare in modo autentico.
Dire, ad esempio: “Sto seguendo una strada che sento mia, anche se so che può sembrarti difficile da comprendere”, permette di affermare la propria autonomia con rispetto.
La comunicazione assertiva può essere un valido alleato in questo processo. Si basa su tre principi:
- Esprimere chiaramente il proprio pensiero;
- Riconoscere le emozioni dell’altro;
- Mantenere un tono rispettoso e non accusatorio.
Frasi come “Capisco che tu abbia delle aspettative su di me, e le rispetto; allo stesso tempo, sento il bisogno di seguire ciò che mi fa stare bene” possono aprire spazi nuovi di ascolto e comprensione reciproca.
Esercizi per rafforzare l’autonomia emotiva
Per consolidare la propria libertà interiore esistono alcuni strumenti psicologici semplici ma efficaci, utili soprattutto quando il giudizio familiare pesa in modo ricorrente:
- Il diario delle emozioni: annotate episodi in cui vi siete sentiti giudicati o in conflitto. Quali emozioni sono emerse? Qual era il bisogno sottostante? Riconoscere questi schemi è il primo passo per modificarli;
- Il “genitore interno”: provate a diventare la figura adulta che avreste voluto al vostro fianco. Cosa vi direbbe una voce affettuosa, accogliente, che non giudica ma sostiene? Questo esercizio aiuta a interiorizzare una guida più benevola;
- La mappa dei confini personali: disegnate due cerchi concentrici. Nel primo inserite ciò che è fondamentale per voi e non negoziabile (valori, sogni, bisogni). Nel secondo, ciò su cui siete disposti a trovare compromessi. Questa visualizzazione aiuta a definire e proteggere i propri confini nelle relazioni;
- Supporto psicologico individuale: quando il legame con il giudizio familiare è molto forte, intraprendere un percorso terapeutico può aiutare a elaborare vissuti profondi e a rinforzare la propria autonomia emotiva.
La libertà è un percorso, non una rottura
Sentirsi liberi dal giudizio familiare non significa necessariamente rompere i legami, ma trasformarli.
Si tratta di passare da un rapporto basato sulla dipendenza affettiva a uno fondato sul rispetto reciproco, dove ciascuno può essere sé stesso senza sentirsi in colpa.
È un percorso che richiede consapevolezza, coraggio e autenticità. Ma la ricompensa è grande: poter vivere secondo i propri valori, costruire relazioni più vere, e scoprire che — spesso — è proprio nel momento in cui smettiamo di cercare approvazione che iniziamo davvero a sentirci visti.
Perché, finalmente, possiamo davvero “essere noi”.