Verso una tassa sul cibo ultraprocessato: l’Europa valuta una svolta per la salute pubblica

Emanuela Spotorno | Editor

Ultimo aggiornamento – 08 Ottobre, 2025

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L’ipotesi di introdurre una tassa sui cibi ultraprocessati entra ufficialmente nel dibattito europeo. A proporla è la Commissione Europea, che mira a fronteggiare i crescenti costi della sanità pubblica e a contenere l’impatto delle malattie croniche legate a cattive abitudini alimentari.

Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), i cibi ultraprocessati, insieme ad altri fattori dello stile di vita e dell’alimentazione, contribuiscono a circa 19 milioni di decessi ogni anno, pari al 34% di tutti i decessi globali

Questo dato sottolinea l’urgenza per le istituzioni di sviluppare politiche preventive più incisive, finalizzate a ridurre il consumo di prodotti industriali ad alto contenuto di zuccheri, grassi e sale.

Cibi ultraprocessati: cosa sono e perché finiscono nel mirino

Rientrano nella categoria degli alimenti ultraprocessati tutti quei prodotti ottenuti da processi industriali complessi che modificano in modo significativo la struttura originaria degli ingredienti. 

Si tratta di alimenti di largo consumo, come:

  • merendine; 
  • snack salati; 
  • hamburger confezionati; 
  • bevande zuccherate; 
  • piatti pronti surgelati; 
  • dolci industriali.

Questi prodotti vengono progettati per risultare appetibili, pratici e a lunga conservazione, ma sono poveri di nutrienti essenziali: contengono poche fibre, vitamine e minerali, mentre apportano elevate quantità di calorie e sostanze che, se assunte in eccesso, possono compromettere la salute. 

Molti consumatori percepiscono erroneamente questi alimenti come pratici o salutari, che li considerano alimenti “moderni” o “comodi”, spesso senza rendersi conto della loro reale composizione.

Un consumo in aumento in tutta Europa

Il consumo di alimenti industriali è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi decenni, fino a rappresentare oltre il 40% dell’apporto calorico giornaliero in diversi Paesi europei. 

Nel Regno Unito e negli Stati Uniti le percentuali superano addirittura il 50%, secondo i dati pubblicati su riviste scientifiche internazionali come The Lancet Public Health.

Questa tendenza riflette un cambiamento culturale profondo, legato a un modello di consumo sempre più orientato alla praticità. Tuttavia, il prezzo da pagare in termini di salute pubblica appare elevato. 

Numerosi studi hanno associato un’elevata assunzione di alimenti ultraprocessati a un rischio maggiore di obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, cancro e declino cognitivo.

Una tassa per frenare i consumi e finanziare la sanità

Di fronte a queste evidenze, la Commissione Europea valuta l’introduzione di una tassa specifica sugli alimenti ultraprocessati, con una duplice finalità: favorire scelte alimentari più sane e creare nuove risorse economiche per la sanità pubblica.

Il principio è simile a quello già applicato a prodotti come tabacco e alcol: chi consuma alimenti a rischio per la salute contribuirebbe, attraverso un’imposta mirata, a coprire parte dei costi sanitari generati da malattie correlate. 

Le entrate verrebbero destinate esclusivamente al sistema sanitario, per finanziare la prevenzione, la cura e la ricerca sulle patologie croniche associate alla cattiva alimentazione.

La misura rientrerebbe inoltre nella strategia europea Farm to Fork, che punta a rendere il sistema alimentare più sostenibile, riducendo l’impatto ambientale e migliorando la salute dei cittadini.

Come stabilire quali prodotti tassare

Una delle questioni più complesse riguarda la definizione oggettiva di “cibo ultraprocessato”. Per evitare ambiguità, la Commissione sta valutando l’adozione di strumenti di classificazione scientifica, come la piattaforma Truefood, in grado di misurare il livello di trasformazione industriale di ciascun alimento.

In base a questo sistema, la tassa verrebbe modulata in proporzione al grado di lavorazione: maggiore è la presenza di processi industriali e additivi, più elevata sarebbe l’imposta. Questo approccio consentirebbe di distinguere con precisione i prodotti realmente “a rischio” da quelli solo moderatamente lavorati, come conserve o pane confezionato.


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Criticità e impatti socioeconomici

La proposta di tassare i cibi ultraprocessati suscita dibattito, in particolare per l’impatto sulle fasce a basso reddito, che consumano più prodotti economici e poco nutrienti. Per mitigare questo effetto, esperti suggeriscono di affiancare incentivi o sussidi per alimenti freschi e salutari.

Allo stesso tempo, la tassa può rappresentare un investimento a lungo termine sulla salute pubblica, riducendo malattie croniche e alleggerendo i bilanci sanitari. Simulazioni indicano che una riduzione del 10% nel consumo di cibi ultraprocessati potrebbe salvare migliaia di vite ogni anno.

In un contesto di crescente obesità e malattie metaboliche, la misura è anche un segnale politico forte, promuovendo consapevolezza alimentare e riconoscendo il cibo come fattore chiave per la salute pubblica.

Fonti:

Emanuela Spotorno | Editor
Scritto da Emanuela Spotorno | Editor

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