All’interno di uno studio pubblicato sulla rivista Nature è stato descritto il funzionamento di un nuovo dispositivo indossabile – messo a punto alla Northwestern University (Usa) – in grado di misurare i gas emessi e assorbiti dalla pelle al fine di valutare lo stato di salute, eventuali infezioni cutanee, i livelli di idratazione e l’esposizione a sostanze nocive.
Vediamo di cosa si tratta.
Il funzionamento
Questa apparecchiatura, lunga due centimetri e larga uno e mezzo, è composta da una camera, una valvola programmabile, dei sensori, una piccola batteria ricaricabile e un circuito elettronico.
Come spiega il principale firmatario dello studio, il Dr. Guillermo Ameer della Northwestern University, i sensori non sono direttamente a contatto con la pelle, ma si trovano a pochissimo millimetri da essa: questo evita eventuali problemi in situazioni di particolare fragilità.
Una valvola automatica regola l'accesso dei gas all'interno della camera di analisi: si apre per permettere ai gas di entrare o uscire e si richiude per trattenere quelli già presenti – consentendo ai sensori di rilevare in modo preciso le variazioni di concentrazione nel tempo.
I dati raccolti vengono, poi, trasmessi in tempo reale via Bluetooth a uno smartphone o a un tablet, permettendo un monitoraggio continuo e a distanza.
I sensori vanno a misurare con precisione le variazioni di temperatura, vapore acqueo, anidride carbonica (CO2) e composti organici volatili (COV) – tutti elementi in grado di fornire indicazioni sulla salute della pelle e su quella generale.
Questo sistema fornisce informazioni preziose che aiutano i professionisti sanitari a valutare tempestivamente lo stato di una ferita e a decidere, se necessario, l’avvio di una terapia antibiotica mirata.
Una barriera da proteggere
Gli studiosi affermano che questa nuova tecnologia può essere di grande impatto per l'assistenza clinica – soprattutto per le persone vulnerabili, come anziani, neonati, pazienti con diabete o con la pelle compromessa.
La Dr.ssa Amy Paller, della divisione di Dermatologia alla Northwestern e tra gli autori dello studio, afferma che lo strato più esterno della pelle rappresenta la prima barriera di protezione contro l’ambiente esterno e ha un ruolo fondamentale: trattiene l’idratazione, evitando una perdita eccessiva di acqua, e difende la pelle da sostanze irritanti, batteri e raggi ultravioletti.
Quando questa barriera si danneggia, la pelle può disidratarsi, diventare più sensibile e vulnerabile a infezioni e infiammazioni, favorendo condizioni come eczema e psoriasi.
“A volte è difficile capire se una ferita è infetta o meno - sottolinea il Dr. Ameer – e quando diventa evidente, potrebbe essere troppo tardi. Per evitare rischi, i medici prescrivono un ampio spettro di antibiotici, con il rischio di aumentare la resistenza antimicrobica, che è un problema crescente nell'assistenza sanitaria. Essere in grado di monitorare una ferita e prescrivere un antibiotico al primo segno di infezione può essere decisivo”.