Il congresso annuale della European Society for Medical Oncology (ESMO) 2025 a Berlino si è confermato un punto di svolta decisivo, superando ogni aspettativa.
Le sessioni più autorevoli e attese del meeting hanno svelato una messe di nuove e promettenti terapie che stanno ridefinendo in modo radicale il panorama di cura per il tumore della vescica.
L'entusiasmo è palpabile: i dati clinici emersi, in particolare dall'avanzamento dell'immunoterapia e delle combinazioni innovative, non si limitano a offrire un progresso, ma aprono nuove frontiere per migliorare significativamente le prospettive di sopravvivenza e, soprattutto, la qualità della vita dei pazienti.
Tumore alla vescica: un’alternativa valida quando la chemio non è possibile
Scopriamo la prima notizia rivoluzionaria per chi è affetto dal carcinoma della vescica muscolo-invasivo, la forma più aggressiva di questa frequente neoplasia (31.000 nuovi casi previsti in Italia nel 2024, spesso legata al fumo).
Infatti, fino ad oggi per circa 3.000 persone ogni anno in Italia (la metà dei 6.000 individui colpiti da tumore della vescica muscolo-invasivo) l'unica speranza terapeutica si è sempre limitata al bisturi (cistectomia radicale), con un elevato rischio che il tumore si ripresentasse, poiché non idonei alla chemioterapia standard a base di cisplatino (spesso a causa di problemi di salute preesistenti come l'insufficienza renale).
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Una prospettiva di incertezza che è destinata a cambiare grazie ai risultati pionieristici dello studio KEYNOTE-905: il trial, infatti, ha testato l'efficacia di una terapia combinata perioperatoria (prima e dopo l'intervento) basata sull'immunoterapia (con pembrolizumab) e un anticorpo coniugato (enfortumab vedotin) su questi pazienti finora "orfani" di trattamenti efficaci.
La nuova strategia combina l'immunoterapico pembrolizumab con l'anticorpo farmaco-coniugato enfortumab vedotin, somministrata sia prima che dopo l'operazione (terapia perioperatoria).
A un follow-up di 25,6 mesi, l'efficacia è drammatica:
- -60% di rischio di recidiva;
- -50% di rischio di morte rispetto alla sola chirurgia.
Dunque, questa combinazione non è solo un progresso: è un nuovo standard di cura che offre una vera possibilità di guarigione a chi prima aveva pochissime carte da giocare.
"Per decenni i pazienti affetti da tumore della vescica muscolo-invasivo non eleggibili al trattamento con cisplatino hanno avuto a disposizione opzioni terapeutiche limitate, spesso ricorrendo esclusivamente alla chirurgia”, dichiara Giuseppe Procopio, Direttore del Programma Prostata e della struttura Dipartimentale di Oncologia Medica Genitourinaria, Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Patrizia Giannatempo, Dirigente della struttura Dipartimentale di Oncologia Medica Genitourinaria, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, aggiunge: “Si tratta di un risultato molto importante per i nostri pazienti. È un traguardo senza precedenti in una popolazione composta in gran parte da pazienti non eleggibili al cisplatino, finora privi di opzioni di cura efficaci.”
Inoltre, il successo apre le porte a future evoluzioni anche per i pazienti idonei al cisplatino, dove sono già in corso studi per potenziare l'efficacia della chemio standard associandola a queste nuove armi terapeutiche.
Tumore della vescica e recidive: i passi in avanti
Viene tradizionalmente gestito con un approccio in due fasi: prima la rimozione locale della lesione, seguita da un ciclo di terapia con il BCG (Bacillus Calmette-Guérin) per prevenire le ricadute.
Purtroppo questo standard di cura, in vigore da decenni, non è infallibile, perché quando il tumore recidiva i pazienti devono affrontare procedure ripetute o, nel peggiore dei casi, interventi radicali e debilitanti come l'asportazione della vescica, con un impatto devastante sulla qualità della vita.
Una svolta attesa da tempo è stata annunciata al Congresso ESMO 2025 e contemporaneamente pubblicata su The Lancet: i risultati dello studio di Fase III POTOMAC dimostrano che l'aggiunta dell'immunoterapico durvalumab per un anno al regime standard di induzione e mantenimento con BCG migliora significativamente la sopravvivenza libera da malattia nei pazienti ad alto rischio mai trattati in precedenza con BCG.
Cosa cambia nel concreto? A un follow-up mediano di oltre cinque anni (60,7 mesi) il regime combinato BCG + durvalumab ha portato a una riduzione del 32% del rischio di recidiva o di decesso.
L'impatto clinico è notevole: si stima che l'87% dei pazienti trattati con l'aggiunta di durvalumab fosse vivo e libero da malattia a due anni, contro l'82% del gruppo trattato con il solo BCG.
Secondo Lorenzo Antonuzzo, Direttore dell’Oncologia Medica Careggi presso l’Università di Firenze, “i risultati dello studio POTOMAC dimostrano che l’aggiunta di durvalumab, per 12 mesi, alla terapia di induzione con BCG è in grado di ridurre il rischio di recidiva del 32%, consentendo a un maggior numero di pazienti di rimanere vivi e liberi da malattia dopo due anni. È una vera innovazione, in un setting di pazienti trattati a intento curativo, in cui non si registravano progressi da almeno un decennio. Diventa così più concreta la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva”.
Inoltre, come sottolinea Massimo Di Maio (Presidente eletto AIOM), “nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo.
Fonti:
The Lancet - Durvalumab in combination with BCG for BCG-naive, high-risk, non-muscle-invasive bladder cancer (POTOMAC): final analysis of a randomised, open-label, phase 3 trial