Parkinson giovanile: scopri i segnali iniziali che non devi ignorare

Dr. Christian Raddato Medico Chirurgo
Redatto scientificamente da Dr. Christian Raddato, Medico Generale |
A cura di Valentina Montagna

Ultimo aggiornamento – 19 Novembre, 2025

Medico con mascherina che parla con un paziente adolescente

Quando si pensa al Parkinson, la mente corre subito alla persona anziana: è un'immagine talmente radicata che l'idea che questa malattia possa colpire un trentenne, un quarantenne o un cinquantenne suona quasi impossibile. Eppure accade anche a persone nel pieno della loro vita, con una carriera da costruire, una famiglia da crescere, progetti ancora da realizzare.

Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce cellule nervose specifiche, in particolare i neuroni che producono dopamina nella “sostanza nera” del cervello, causando una progressiva perdita di funzioni motorie e cognitive.

Questa sostanza nera è una struttura fondamentale localizzata nel mesencefalo, una parte profonda del cervello. Si chiama così per via del colore scuro dei suoi neuroni, dovuto alla presenza di un pigmento chiamato neuromelanina.

Vediamo cos'è il Parkinson giovanile.

Cos'è il Parkinson giovanile?

Parlare di "Parkinson giovanile" non è solo una questione di età: è fondamentale usare i termini giusti per distinguere questa condizione dall'immaginario collettivo e capire le sue specificità, perché una diagnosi precoce porta con sé genetica, evoluzione dei sintomi e scelte di vita a lungo termine.

Ma quali sono le diverse classificazioni basate sull'età in cui la malattia si manifesta?

  • parkinsonismo giovanile (Juvenile Parkinsonism): è la forma più rara e si manifesta prima dei 21 anni, in bambini e adolescenti. In questi casi, la causa è legata a specifiche e rare mutazioni genetiche;
  • parkinson a esordio giovanile (Young-Onset Parkinson's Disease): questa è la definizione più comune e si applica quando la diagnosi arriva prima dei 50 anni (alcuni studi più specifici la collocano tra i 21 e i 40 anni);
  • parkinsonismo: è un termine "ombrello" che descrive un gruppo di condizioni neurologiche con sintomi simili a quelli del Parkinson (tremore, lentezza, rigidità), ma che possono avere cause diverse, come l'esposizione a tossine, traumi o l'effetto di alcuni farmaci.

Il ruolo della genetica

A differenza del Parkinson che insorge in età avanzata, nelle forme giovanili la genetica gioca un ruolo molto più pesante. Non è un caso che chi riceve una diagnosi da giovane abbia più probabilità di avere altri casi in famiglia.


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La ricerca ha identificato diversi geni che, se mutati, possono causare o aumentare il rischio di sviluppare la malattia. Tra i più noti ci sono PARK2 (Parkin), PINK1, LRRK2 e ATP13A2. L'influenza genetica è così marcata che uno studio ha rivelato la presenza di una mutazione in ben il 65% delle persone la cui malattia era iniziata prima dei 20 anni.

Fonti dello studio: Kasten M, Hartmann C, Hampf J, et al. Frequency of mutations in early-onset Parkinson disease: a systematic review and meta-analysis. Movement Disorders. 2018.
 
 Anche se è emerso il ruolo fondamentale della genetica, comunque la malattia rimane complessa e i suoi meccanismi non ancora del tutto chiariti. I sintomi, pur essendo simili a quelli delle forme più tardive, si presentano e progrediscono in un modo tutto loro.

Quali sono i sintomi del Parkinson giovanile?

Riconoscere i sintomi del Parkinson in una persona giovane non è facile. Un tremore, un po' di rigidità o un senso di stanchezza vengono facilmente attribuiti allo stress, a un infortunio o a mille altre cause più probabili.

È proprio questa la difficoltà. Nessuno, né il paziente né a volte il medico, pensa subito al Parkinson. Saper individuare i segnali è il primo, fondamentale passo per arrivare a una diagnosi.

I primi segnali: sintomi non motori

Molto prima che il corpo inizi a mostrare i segni più evidenti, il Parkinson può manifestarsi attraverso sintomi nascosti, non legati al movimento. Questi segnali premonitori possono comparire anni, a volte decenni, prima della diagnosi vera e propria.

Ecco quali sono:

  • perdita dell'olfatto (anosmia): l'incapacità di sentire odori come prima, in modo graduale;
  • problemi del sonno: agitazione notturna, sogni molto vividi in cui ci si muove o si parla (disturbo del comportamento in sonno REM) o la sindrome delle gambe senza riposo;
  • depressione e ansia: cambiamenti dell'umore che non sono solo una reazione alla malattia, ma un sintomo vero e proprio;
  • stitichezza: un problema intestinale persistente e non spiegato da altre cause.

I sintomi motori

Con il tempo, compaiono i sintomi motori, quelli che definiscono la malattia agli occhi di tutti. Il sintomo primario, sempre necessario per la diagnosi, è la lentezza dei movimenti (bradicinesia).

A questo si devono aggiungere almeno uno degli altri segni cardinali, come il tremore a riposo o la rigidità:

  • lentezza dei movimenti (bradicinesia): tutto rallenta, diventa faticoso, esitante;
  • tremore a riposo: un tremore ritmico, tipicamente a una mano, che si manifesta quando i muscoli sono rilassati, ad esempio quando si è seduti con la mano appoggiata su un tavolo.
  • rigidità: una sensazione di tensione e resistenza muscolare costante, come se gli arti o il tronco fossero "bloccati";
  • instabilità posturale: problemi di equilibrio e coordinazione che, di solito, compaiono in una fase più avanzata della malattia.

Nei giovani, inoltre, è più comune la distonia, una contrazione muscolare involontaria e dolorosa che costringe una parte del corpo, come il piede, ad assumere una postura anomala (ad esempio, l'arco del piede che si tende verso l'interno).

Come progredisce il Parkinson giovanile?

Il Parkinson nelle persone giovani segue un percorso diverso rispetto agli anziani:

  • la progressione dei sintomi è più lenta;
  • i problemi cognitivi, come la demenza, sono meno frequenti;
  • gli effetti collaterali dei farmaci, in particolare i movimenti involontari (discinesie), possono comparire più precocemente.

Diagnosi di Parkinson giovanile 

Arrivare a una diagnosi di Parkinson giovanile può richiedere tempo prima di arrivare all'esito, proprio perché la malattia è rara in questa fascia d'età, i medici potrebbero impiegare molto tempo prima di prenderla in considerazione, valutando altre possibilità. 
 
La diagnosi di Parkinson è ancora oggi perlopiù clinica. Non esiste un esame del sangue o una scansione che possa confermarla con certezza. La diagnosi si basa sull'esperienza di un neurologo specializzato in disturbi del movimento, che analizza attentamente i sintomi, la storia medica del paziente e la sua risposta ai farmaci.
 
Esami come la risonanza magnetica (MRI) o le analisi del sangue non servono a scovare il Parkinson, ma restano comunque essenziali per escludere altre malattie che possono imitarne i sintomi. Ad esempio, si effettuano test per escludere la malattia di Wilson (un disturbo del metabolismo del rame) o altre condizioni neurologiche.

Mani di un medico con stetoscopio che confortano quelle di una paziente 
Nel caso del Parkinson giovanile, i test genetici assumono un'importanza particolare perché è più forte la componente ereditaria. L'analisi del DNA può a volte identificare la mutazione specifica, come quella nel gene ATP13A2 che abbiamo visto essere una delle cause del parkinsonismo giovanile, portando a una diagnosi precisa come la sindrome di Kufor-Rekab.
 
 Conoscere la causa genetica conferma la diagnosi e apre la porta a future terapie mirate. Iniziative come "PD GENEration" offrono test genetici gratuiti proprio per accelerare la ricerca e migliorare la cura dei pazienti.

Come si cura il Parkinson giovanile? 

Ricevere la diagnosi è un punto di svolta, ma è anche il punto di partenza per imparare a gestire la malattia.

Ad oggi non esiste una cura che possa fermare o invertire il Parkinson. Tuttavia, ci sono molte strategie efficaci per controllare i sintomi, mantenendo una buona qualità di vita per molti anni. 

Le cure attuali non guariscono la malattia, ma ne alleviano gli effetti permettendo di continuare a vivere una vita attiva.
 
La Levodopa è il farmaco più potente ed efficace. Una volta nel cervello, si trasforma in dopamina, il neurotrasmettitore che manca nelle persone con Parkinson. La sua efficacia è tale che una buona risposta alla Levodopa è considerata una conferma della diagnosi.
 
Nei pazienti giovani, però, se da un lato la Levodopa funziona molto bene, un uso prolungato aumenta il rischio di sviluppare effetti collaterali come le discinesie (movimenti involontari simili a una danza o a contorsioni) e le fluttuazioni motorie (passaggi improvvisi da uno stato di buona mobilità a uno di blocco). Questi effetti sono più comuni e compaiono prima nei giovani.
 
Per questo motivo, a volte si preferisce iniziare con altre classi di farmaci, come i dopamino-agonisti, che imitano l'azione della dopamina, per ritardare l'uso della Levodopa. Nelle fasi più avanzate, quando i farmaci non bastano, un'opzione è la stimolazione cerebrale profonda (DBS), un intervento che, tramite elettrodi sottili impiantati in punti precisi del cervello, invia impulsi elettrici che agiscono come un pacemaker, calmando i segnali caotici che causano tremore e rigidità.

Aspettative di vita

Una delle prime paure dopo una diagnosi è legata al futuro. È importante sapere che il Parkinson, di per sé, non è una malattia fatale. L'aspettativa di vita per la maggior parte delle persone è normale o solo di poco inferiore a quella delle altre persone.
 
 Le vere complicazioni per una persona giovane sono diverse e toccano vari aspetti della vita, come la carriera, la gestione della famiglia, la pianificazione economica.

Accanto alle terapie farmacologiche, un ruolo sempre più importante è riconosciuto a strategie complementari come l'esercizio fisico. La ricerca sta indagando nella capacità di un'attività fisica costante e mirata nell'alleviare i sintomi e rallentare la degenerazione dei neuroni.

Quali sono i possibili scenari futuri delle cure per il Parkinson giovanile?

L'orizzonte della ricerca sul Parkinson è in continuo movimento. La comunità scientifica è più attiva che mai nel cercare di comprendere le zone ancora oscure della malattia, e sviluppare terapie che vadano oltre il semplice controllo dei sintomi.
 
 Una svolta significativa è arrivata da una ricerca condotta all'Ospedale San Raffaele su una mutazione nel gene PARKIN (PARK2), uno dei primi che abbiamo identificato come causa comune di Parkinson giovanile.
 
 I ricercatori hanno sviluppato un nuovo modello sperimentale. I modelli precedenti, in cui il gene PARKIN veniva completamente eliminato, si erano rivelati deludenti. Gli animali non sviluppavano i sintomi della malattia, rendendo difficile testare nuovi farmaci.
 
 Per la prima volta, questo nuovo modello riproduce fedelmente i cambiamenti che avvengono nel cervello umano. È uno strumento che promette di studiare i meccanismi della malattia e testare l'efficacia di nuove terapie in modo molto più rapido e accurato. 

Grazie a questi progressi, i prossimi obiettivi della ricerca sono:

  • studiare in dettaglio i meccanismi molecolari che causano la morte dei neuroni dopaminergici;
  • testare farmaci neuroprotettivi, con la speranza che possano rallentare o fermare la progressione della malattia;
  • capire il legame tra processi come l'infiammazione cronica e la morte cellulare (necroptosi) e l'invecchiamento del cervello, per trovare nuove strade terapeutiche.
Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
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