Pancia da diabete: ecco cosa significa

Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano. per P. by pazienti.it

Ultimo aggiornamento – 04 Novembre, 2025

Misurazione glicemia con glucometro.

Il termine “pancia da diabete” non è medico, ma è sempre più usato per descrivere quel tipo di accumulo addominale che, con il tempo, può favorire la comparsa di insulino-resistenza e diabete di tipo 2.

In realtà si tratta di grasso viscerale, cioè quel tessuto adiposo che si forma intorno agli organi interni e che, a differenza del grasso sottocutaneo, ha un impatto diretto sul metabolismo e sull’infiammazione sistemica.

Secondo una revisione scientifica, il tessuto adiposo viscerale rilascia acidi grassi liberi e citochine pro-infiammatorie che riducono la sensibilità all’insulina e aumentano il rischio di diabete. È da qui che nasce, in modo popolare, l’espressione “pancia da diabete”.

Ma scopriamo di più.

Cos’è e da cosa è dovuta la pancia da diabete

Come detto, la pancia da diabete corrisponde all’aumento del grasso viscerale (VAT): questo non si vede sempre all’esterno (ad esempio, ci sono persone con pochissima massa grassa ma con alti livelli di grasso viscerale), ma si manifesta spesso con un addome rigido e sporgente, tipico del cosiddetto “fenotipo a mela”.

In questa condizione, il grasso viscerale produce sostanze infiammatorie (come TNF-α, IL-6, resistina) che alterano il metabolismo del glucosio.

Secondo alcuni studi, le cause principali possono essere:

  • stile di vita sedentario e dieta squilibrata: una dieta ricca di zuccheri raffinati, bevande dolci e alimenti ultra-processati favorisce la deposizione di grasso addominale;
  • stress cronico e mancanza di sonno: l’aumento del cortisolo stimola l’accumulo viscerale;
  • età e ormoni: con l’età, soprattutto dopo i 40 anni, si riduce la massa magra e cambia la distribuzione del grasso;
  • predisposizione genetica e fattori metabolici: alcune persone hanno una maggiore tendenza ad accumulare grasso nella zona addominale anche con un peso normale.

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Una ricerca, pubblicata su BMC Endocrine Disorders, ha osservato che gli indici di obesità viscerale – come LAP, CVAI e CMI – sono fortemente associati alla presenza di prediabete e diabete.

Non esistono sintomi precisi di “pancia da diabete”, ma ci sono segnali indiretti:

  • aumento della circonferenza vita (oltre 94 cm negli uomini e 80 cm nelle donne);
  • pressione alta;
  • glicemia a digiuno sopra i 100 mg/dl;
  • stanchezza persistente, sete e fame anomale;
  • alterazioni dei lipidi (HDL basso, trigliceridi alti).

Uno studio ha dimostrato che un rapporto vita/fianchi (WHR) elevato è significativamente collegato a una maggiore prevalenza di diabete di tipo 2.

Gli studi sul legame tra “pancia da diabete” e rischio metabolico

Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno messo in luce come il grasso addominale non sia un semplice deposito di energia, ma un vero e proprio “organo attivo” che influenza la salute metabolica.

Una revisione spiega in modo chiaro questo concetto: gli autori lo definiscono “un organo endocrino attivo”, capace di rilasciare ormoni e molecole infiammatorie che modificano profondamente il metabolismo del glucosio.

In pratica, più aumenta il grasso viscerale, più il corpo diventa resistente all’insulina – e questo meccanismo, se mantenuto nel tempo, può evolvere in diabete di tipo 2.

Lo studio sottolinea anche un aspetto interessante: non è solo la quantità di grasso a contare, ma la sua localizzazione. Ridurre il grasso viscerale, anche senza dimagrire drasticamente, può migliorare sensibilmente la risposta insulinica e prevenire lo sviluppo del diabete.

Un altro studio, che ha coinvolto oltre 10.000 adulti, ha messo a confronto diversi indici di obesità viscerale (LAP, CMI, CVAI e BRI) per capire quali siano più utili nel predire il rischio di prediabete e diabete.

I risultati sono stati netti: tutte le misure del grasso viscerale si sono dimostrate correlate a livelli glicemici più alti e a un rischio maggiore di alterazioni metaboliche.Ragazza con sensore di monitoraggio continuo della glicemia sul braccio.

Tra tutti, l’indice LAP (Lipid Accumulation Product) si è rivelato il più efficace nel predire la presenza di disfunzioni glicemiche.

In parole semplici, non serve aspettare che la glicemia salga per sapere se si è a rischio: basta osservare come si distribuisce il grasso corporeo, soprattutto nella zona addominale.

Infine, uno studio longitudinale, durato cinque anni, ha combinato due elementi spesso trattati separatamente: l’obesità addominale e la rigidità arteriosa.

I risultati mostrano che la presenza contemporanea di entrambi aumenta notevolmente la probabilità di sviluppare diabete.

La spiegazione? Il grasso viscerale non agisce solo sul metabolismo, ma anche sul sistema vascolare: riduce l’elasticità delle arterie e altera il flusso sanguigno, creando un terreno favorevole alla disfunzione insulinica.

Per questo motivo, gli autori suggeriscono che le misure di circonferenza vita e rigidità arteriosa dovrebbero essere incluse insieme negli screening preventivi, per identificare precocemente i soggetti a rischio.

La pancia da diabete, dunque, non è un modo di dire casuale: il grasso addominale, e in particolare quello viscerale, è oggi riconosciuto come uno dei principali fattori predittivi di diabete di tipo 2, anche in assenza di obesità.

Le ricerche più recenti confermano che la circonferenza vita e indici come LAP, CMI e WHR sono strumenti efficaci per individuare precocemente chi è più a rischio.

Fonti:

  • MDPIVisceral Adipose Tissue: The Hidden Culprit for Type 2 Diabetes
  • MDPIThe Role of Obesity in Type 2 Diabetes Mellitus—An Overview
  • BMC Endocrine DisordersRelationship between four visceral obesity indices and prediabetes and diabetes: a cross-sectional study in Dalian, China
  • BMC Endocrine DisordersThe association between waist-to-hip ratio (WHR) with diabetes in the PERSIAN Guilan cohort study population
  • JMIR PublicationsArterial Stiffness and Obesity as Predictors of Diabetes: Longitudinal Cohort Study
Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano. per P. by pazienti.it
Scritto da Mattia Zamboni | Autore e divulgatore esperto in salute, nutrizione e psicologia applicata al benessere quotidiano. per P. by pazienti.it

Mattia Zamboni è un professionista della comunicazione con una solida esperienza nella divulgazione di temi legati alla salute e al benessere. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione con focus sullo storytelling, ha oltre dieci anni di esperienza nel giornalismo e nella produzione di contenuti editoriali.

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