Il termine “pancia da diabete” non è medico, ma è sempre più usato per descrivere quel tipo di accumulo addominale che, con il tempo, può favorire la comparsa di insulino-resistenza e diabete di tipo 2.
In realtà si tratta di grasso viscerale, cioè quel tessuto adiposo che si forma intorno agli organi interni e che, a differenza del grasso sottocutaneo, ha un impatto diretto sul metabolismo e sull’infiammazione sistemica.
Secondo una revisione scientifica, il tessuto adiposo viscerale rilascia acidi grassi liberi e citochine pro-infiammatorie che riducono la sensibilità all’insulina e aumentano il rischio di diabete. È da qui che nasce, in modo popolare, l’espressione “pancia da diabete”.
Ma scopriamo di più.
Cos’è e da cosa è dovuta la pancia da diabete
Come detto, la pancia da diabete corrisponde all’aumento del grasso viscerale (VAT): questo non si vede sempre all’esterno (ad esempio, ci sono persone con pochissima massa grassa ma con alti livelli di grasso viscerale), ma si manifesta spesso con un addome rigido e sporgente, tipico del cosiddetto “fenotipo a mela”.
In questa condizione, il grasso viscerale produce sostanze infiammatorie (come TNF-α, IL-6, resistina) che alterano il metabolismo del glucosio.
Secondo alcuni studi, le cause principali possono essere:
- stile di vita sedentario e dieta squilibrata: una dieta ricca di zuccheri raffinati, bevande dolci e alimenti ultra-processati favorisce la deposizione di grasso addominale;
- stress cronico e mancanza di sonno: l’aumento del cortisolo stimola l’accumulo viscerale;
- età e ormoni: con l’età, soprattutto dopo i 40 anni, si riduce la massa magra e cambia la distribuzione del grasso;
- predisposizione genetica e fattori metabolici: alcune persone hanno una maggiore tendenza ad accumulare grasso nella zona addominale anche con un peso normale.
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Una ricerca, pubblicata su BMC Endocrine Disorders, ha osservato che gli indici di obesità viscerale – come LAP, CVAI e CMI – sono fortemente associati alla presenza di prediabete e diabete.
Non esistono sintomi precisi di “pancia da diabete”, ma ci sono segnali indiretti:
- aumento della circonferenza vita (oltre 94 cm negli uomini e 80 cm nelle donne);
- pressione alta;
- glicemia a digiuno sopra i 100 mg/dl;
- stanchezza persistente, sete e fame anomale;
- alterazioni dei lipidi (HDL basso, trigliceridi alti).
Uno studio ha dimostrato che un rapporto vita/fianchi (WHR) elevato è significativamente collegato a una maggiore prevalenza di diabete di tipo 2.
Gli studi sul legame tra “pancia da diabete” e rischio metabolico
Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno messo in luce come il grasso addominale non sia un semplice deposito di energia, ma un vero e proprio “organo attivo” che influenza la salute metabolica.
Una revisione spiega in modo chiaro questo concetto: gli autori lo definiscono “un organo endocrino attivo”, capace di rilasciare ormoni e molecole infiammatorie che modificano profondamente il metabolismo del glucosio.
In pratica, più aumenta il grasso viscerale, più il corpo diventa resistente all’insulina – e questo meccanismo, se mantenuto nel tempo, può evolvere in diabete di tipo 2.
Lo studio sottolinea anche un aspetto interessante: non è solo la quantità di grasso a contare, ma la sua localizzazione. Ridurre il grasso viscerale, anche senza dimagrire drasticamente, può migliorare sensibilmente la risposta insulinica e prevenire lo sviluppo del diabete.
Un altro studio, che ha coinvolto oltre 10.000 adulti, ha messo a confronto diversi indici di obesità viscerale (LAP, CMI, CVAI e BRI) per capire quali siano più utili nel predire il rischio di prediabete e diabete.
I risultati sono stati netti: tutte le misure del grasso viscerale si sono dimostrate correlate a livelli glicemici più alti e a un rischio maggiore di alterazioni metaboliche.
Tra tutti, l’indice LAP (Lipid Accumulation Product) si è rivelato il più efficace nel predire la presenza di disfunzioni glicemiche.
In parole semplici, non serve aspettare che la glicemia salga per sapere se si è a rischio: basta osservare come si distribuisce il grasso corporeo, soprattutto nella zona addominale.
Infine, uno studio longitudinale, durato cinque anni, ha combinato due elementi spesso trattati separatamente: l’obesità addominale e la rigidità arteriosa.
I risultati mostrano che la presenza contemporanea di entrambi aumenta notevolmente la probabilità di sviluppare diabete.
La spiegazione? Il grasso viscerale non agisce solo sul metabolismo, ma anche sul sistema vascolare: riduce l’elasticità delle arterie e altera il flusso sanguigno, creando un terreno favorevole alla disfunzione insulinica.
Per questo motivo, gli autori suggeriscono che le misure di circonferenza vita e rigidità arteriosa dovrebbero essere incluse insieme negli screening preventivi, per identificare precocemente i soggetti a rischio.
La pancia da diabete, dunque, non è un modo di dire casuale: il grasso addominale, e in particolare quello viscerale, è oggi riconosciuto come uno dei principali fattori predittivi di diabete di tipo 2, anche in assenza di obesità.
Le ricerche più recenti confermano che la circonferenza vita e indici come LAP, CMI e WHR sono strumenti efficaci per individuare precocemente chi è più a rischio.
Fonti:
- MDPI – Visceral Adipose Tissue: The Hidden Culprit for Type 2 Diabetes
- MDPI – The Role of Obesity in Type 2 Diabetes Mellitus—An Overview
- BMC Endocrine Disorders – Relationship between four visceral obesity indices and prediabetes and diabetes: a cross-sectional study in Dalian, China
- BMC Endocrine Disorders – The association between waist-to-hip ratio (WHR) with diabetes in the PERSIAN Guilan cohort study population
- JMIR Publications – Arterial Stiffness and Obesity as Predictors of Diabetes: Longitudinal Cohort Study