La violenza contro le donne in Italia, nonostante i numerosi canali di informazione, rimane un fenomeno grave, diffuso e spesso invisibile.
A offrire una fotografia chirurgica delle criticità del contesto socio-sanitario odierno è il nuovo report di Fondazione Onda ETS, dedicato a discriminazione e violenza di genere. Il documento sembra ritrarre un Paese la cui tendenza è quella di sottostimare le forme meno evidenti di violenza, nonché quelle che lasciano cicatrici su anima e mente. mentre mancano strumenti adeguati per prevenirla e intervenire.
A emergere sono tre aspetti principali, e cruciali per la salute delle donne e della comunità intera: il ruolo dell’educazione scolastica, la scarsa capacità della popolazione di intervenire di fronte a episodi di violenza e il profondo impatto psicologico – e fisico – che le vittime subiscono.
L’approfondimento, in vista della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, permette di comprendere perché la prevenzione non incarni solo una responsabilità sociale, ma anche un tema sanitario centrale.
Educazione nelle scuole e violenza sulle donne: il nodo della prevenzione
Secondo Fondazione Onda ETS, l’educazione scolastica rappresenta il primo vero fronte nella lotta contro la violenza sulle donne. Eppure, l’Italia non dispone ancora di programmi strutturati e continuativi che affrontino in modo chiaro le competenze affettive, emotive e relazionali.
Cosa manca oggi nelle scuole?
Dal report emerge che:
- molti studenti e studentesse non riconoscono le forme più sottili di violenza;
- il concetto di “relazione sana” non viene approfondito in modo sistematico;
- insegnanti e personale scolastico richiedono formazione specifica;
- mancano percorsi sulla gestione delle emozioni, il consenso, i confini personali e digitali.
L’assenza di una alfabetizzazione emotiva solida porta a un effetto evidente: i giovani identificano come violenza quasi esclusivamente gli atti fisici, mentre faticano a individuare i segnali precoci che solitamente precedono l’escalation, come controllo, ricatti emotivi, gelosia intensa, manipolazione o isolamento.
Ma perché la scuola è un presidio di salute?
La prevenzione primaria – ovvero la capacità di riconoscere e interrompere le dinamiche tossiche prima che degenerino – è strettamente legata al benessere psicologico e alla riduzione del rischio di sviluppare traumi complessi. E questo, a scuola, può essere insegnato.
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Integrare l’educazione affettiva nelle scuole può ridurre la quota di future vittime, ma anche migliorare la qualità delle relazioni, la gestione del conflitto e la capacità di chiedere aiuto.
Violenza sulle donne: “Vorrei aiutare, ma non so come”
Una delle sezioni più rilevanti del rapporto di Fondazione Onda ETS riguarda la capacità - o la difficoltà - delle persone comuni di intervenire di fronte alla violenza. La maggior parte degli italiani ammette che, pur riconoscendo la gravità del problema, non saprebbe come agire in modo corretto e sicuro.
Tra i motivi più citati:
- la paura di peggiorare la situazione;
- l’idea che si tratti di una “questione privata”;
- l’assenza di linee guida chiare;
- incertezza su chi contattare o quali parole usare;
- scarsa conoscenza dei servizi disponibili sul territorio.
Molti temono di dire la cosa sbagliata, di essere invadenti o di non possedere competenze adeguate.
Abbiamo domandato, però, a uno dei nostri specialisti, lo psicologo Alberto Galia, di scendere nel dettaglio: indagare e snocciolare quelli che sono i motivi psicologici profondi di tale comportamento.
“Quando assistiamo a episodi di violenza, nella nostra mente si attivano meccanismi psicologici complessi che possono paralizzare l’azione. Il report evidenzia come il 52% delle persone che non sono intervenute di fronte a un episodio di violenza dichiari di non sapere come agire correttamente; questo dato rivela non solo una carenza formativa, ma anche un fenomeno psicologico più profondo noto come “effetto spettatore” o bystander effect: la presenza di più persone che assistono a un abuso o a un atto di violenza può “diluire” il senso di responsabilità tra le persone stesse, aumentando inoltre l’incertezza circa il comportamento corretto da adottare.
Altri meccanismi che impediscono alle persone di fornire il loro supporto sono i seguenti:
- freezing: il 32% degli intervistati riferisce di essere rimasto “pietrificato”. Si tratta di una risposta neurobiologica automatica che paralizza l’individuo quando sperimenta un intenso senso di minaccia e non percepisce una via di fuga;
- comprensione tardiva: il 32% del campione dichiara di aver compreso solo successivamente di aver assistito a un atto di violenza. Molte forme di violenza, tra cui quelle psicologiche ed economiche, in certi contesti sono così normalizzate da risultare invisibili;
- minimizzazione: riguardante il 10% dei casi, la minimizzazione rappresenta un meccanismo di difesa in grado di proteggere l’individuo dall’ansia dell’intervento: se mi racconto che ciò che è successo è normale o trascurabile, potrò evitare di intervenire e di aumentare i miei livelli d’ansia.
Per migliorare la capacità d’intervento delle persone sono necessari programmi educativi finalizzati al riconoscimento di tutte le forme di violenza e prot ocolli d’intervento chiari: è necessario sapere chi chiamare, cosa dire e come proteggere la vittima senza esporsi a rischi eccessivi.”
Intervenire, dunque, è parte della prevenzione?
Sì, saper riconoscere i segnali e sapere come comportarsi in contesti di abuso non rappresenta un mero dettaglio: è un fattore di salute collettiva.
Il report redatto da Fondazione Onda ETS, infatti, suggerisce di potenziare percorsi formativi rivolti alla cittadinanza, campagne informative e strumenti digitali che permettano di intervenire tempestivamente senza esporsi a rischi. Allo stesso tempo, indica la necessità di rendere più visibili servizi come i Centri antiviolenza, il 1522, i percorsi nei Pronto Soccorso e le reti territoriali.
L’impatto psicologico della violenza di genere: traumi invisibili tra corpo e mente
La violenza sulle donne ha conseguenze profonde e durature sulla salute mentale e fisica. Onda sottolinea come gli effetti psicologici non siano da considerarsi né da trattare come un aspetto meramente secondario, ma anzi il cuore pulsante della questione sanitaria.
Violenza invisibile: l’aspetto psicologico
Prima degli episodi fisici, quando presenti, la maggior parte delle vittime vive una lunga fase di violenza psicologica caratterizzata da:
- svalutazione e umiliazione;
- controllo costante;
- isolamento progressivo dalla rete familiare e amicale;
- colpevolizzazione;
- minacce dirette o indirette.
Questa fase, spesso non riconosciuta nemmeno dalle stesse donne, è quella che compromette maggiormente l’autostima, il senso di realtà e, di conseguenza, la capacità di chiedere aiuto.
Violenza sulle donne: le conseguenze sulla salute mentale
La violenza non lascia solo segni visibili sul corpo ma apre ferite, spesso invisibili, sulla mente. Infatti, afferma il Dr Galia, “La violenza di genere rappresenta un fattore di rischio importante per lo sviluppo di patologie psichiatriche: le donne che la subiscono presentano tassi più alti di depressione, disturbo post-traumatico da stress, ansia, abuso di sostanze e ideazione suicidaria.
Nello specifico la violenza psicologica, osservata dal 76% del campione, erode lentamente l’autostima e il senso di realtà: chi ne è vittima comincia a dubitare delle proprie percezioni, del proprio giudizio, e a sentirsi inadeguata.
E cosa comporta questo oltre al disagio stesso? “Rende complessa la richiesta di aiuto o anche il semplice riconoscimento del pericolo.
Lo stesso accade con la vergogna: le vittime di violenza tendono a sentirsi responsabili e partecipi dell’accaduto, alimentando un senso d’inadeguatezza che renderà meno probabile la richiesta di supporto. Anche la dissociazione, rendendo l’esperienza meno dolorosa attraverso un “distacco” emotivo, complica la ricostruzione degli eventi e il percorso di denuncia.”
Gli effetti sulla salute mentale possono includere:
- ansia e depressione;
- disturbi post-traumatici;
- insonnia e incubi;
- somatizzazioni (dolori cronici, tachicardia, disturbi gastrointestinali);
- difficoltà di concentrazione e disregolazione emotiva.
“Nel lungo termine - ci ricorda lo specialista - lo stress cronico altera il sistema nervoso autonomo, con conseguenze sul sistema immunitario, cardiovascolare ed endocrino. Parafrasando van der Kolk (psichiatra e ricercatore di fama mondiale), si potrebbe dire che “il corpo accusa il colpo”.
Il trauma psicologico, dunque, influenza anche la salute fisica complessiva. Ed è proprio in virtù della concretezza di tali motivazioni che Onda ribadisce quanto la violenza di genere debba essere trattata come una priorità sanitaria, con percorsi integrati che includano supporto psicologico, presa in carico medica e continuità assistenziale.
Violenza sulle donne: cosa chiede Fondazione Onda ETS e cosa dovremmo chiedere tutti
“Questi - afferma lo psicologo - sono solo alcuni tra i motivi per cui la violenza di genere deve rappresentare una priorità nei programmi di salute pubblica: non si tratta esclusivamente di giustizia sociale, ma anche di prevenzione sanitaria. Investire nella prevenzione, nella formazione e nel supporto alle vittime rappresenta una mossa strategica per un piano sanitario attento alla salute della popolazione nel suo complesso.”
Qual è, dunque, il ruolo del sistema sanitario nel riconoscere e affrontare questi segnali? qual è il ruolo dei medici e degli operatori sanitari nell’intercettare i segnali di violenza; e cosa potrebbe migliorare la capacità della sanità di supportare le vittime? Lo abbiamo domandato al nostro specialista.
Il Dottor Galia ha risposto che “Il sistema sanitario è spesso il primo punto d’approdo per le donne vittime di violenza, anche quando si presentano con sintomi apparentemente slegati (mal di testa ricorrenti, dolori muscolari, disturbi del sonno) ma che in realtà rappresentano, in alcuni casi, manifestazioni somatiche del trauma.
I professionisti dovrebbero essere in grado di identificare non solo segni fisici evidenti quali lividi e fratture, ma anche pattern comportamentali: ipervigilanza nei confronti del partner durante la visita, risposte evasive, minimizzazione dei sintomi. Riconoscere tali segnali, tuttavia, richiede formazione specifica.
Il Pronto Soccorso dovrebbe poter fare riferimento a protocolli standardizzati per lo screening della violenza domestica, con personale formato per lo svolgimento di colloqui in un ambiente sicuro e riservato.
Tuttavia, il report Fondazione Onda ETS evidenzia che ad oggi molti operatori si sentono impreparati. Manca formazione strutturata su come porre le domande giuste e orientare la persona verso servizi appropriati (centri antiviolenza, servizi sociali, supporto legale). Fondamentale, a questo proposito, è la continuità assistenziale: serve un sistema integrato che si avvalga di una presa in carico coordinata, senza che la vittima debba raccontare ripetutamente la propria storia.
Affinché il sistema sanitario possa supportare appropriatamente le vittime di violenza, sono necessari appositi moduli obbligatori nei percorsi formativi sanitari, protocolli d’intervento nei Pronto Soccorso ed équipe multidisciplinari dedicate; il sistema sanitario deve diventare una porta d’accesso efficace verso la rete di protezione e cura.”
Il report vuole inviare un messaggio diretto, limpido e mirato: per ridurre realmente la violenza sulle donne servono interventi coordinati e continui.
Tra le richieste principali risaltano:
- inserimento strutturale dell’educazione affettiva nelle scuole;
- formazione specifica per insegnanti, operatori sanitari e forze dell’ordine;
- maggiore visibilità e accessibilità dei servizi territoriali;
- protocolli uniformi nei Pronto Soccorso;
- campagne di prevenzione rivolte alla popolazione.
Si tratta dunque di costruire un sistema di prevenzione capace di agire prima, durante e dopo la violenza.
Risulta evidente come dall’analisi affiori la necessità di affrontare il problema della violenza sulle donne in modo mirato, critico e concreto: serve una risposta collettiva.
La prevenzione incarna un processo necessario che deve essere costante e coinvolgere ogni parte sociale.
In vista del 25 novembre questa analisi ricorda che il lavoro sulla parità di genere, nonché sulla prevenzione degli abusi, non è ancora giunta a un punto sufficiente.
Per maggiori informazioni consultare il sito: www.fondazioneonda.it; canale instagram.
Fonti:
Fondazione Onda ETS - Il Report: Violenza e discriminazione di genere: percezione, reazioni e interventi