Degenerazione maculare: test di un microchip sperimentale per recuperare la vista

Arianna Bordi | Autrice e divulgatruce specializzata in psicologia, attualità e salute mentale per P. by pazienti.it

Ultimo aggiornamento – 21 Ottobre, 2025

Un oculista esamina gli occhi di un paziente anziano utilizzando un microscopio digitale durante una visita medica presso lo studio oculistico

Un avanzamento rivoluzionario sta riscrivendo il destino di coloro che soffrono di degenerazione maculare legata all'età (DMLE), un tempo considerata una condanna inesorabile alla perdita della vista centrale.

Scopriamo di più in questo approfondimento.

DMLE: perché è così pericolosa

La AMD o ARMD (Age-Related Macular Degeneration) non è una patologia marginale: è, di fatto, la principale causa di cecità a livello globale.

Si tratta di una malattia insidiosa si manifesta tipicamente dopo aver superato i sessant'anni e, attualmente, imprigiona circa cinque milioni di persone in tutto il mondo in una realtà visiva compromessa.

L'essenza della degenerazione maculare senile risiede nella distruzione progressiva della macula, il punto focale più prezioso del nostro sistema visivo.

La macula, infatti, è la porzione centrale della retina deputata alla visione fine e dettagliata, quell'acuità visiva che ci permette di decifrare il testo sulla pagina, di distinguere i lineamenti di un volto amato o di infilare un ago.

Mentre la visione periferica rimane intatta, permettendo al paziente di muoversi nello spazio circostante, la capacità di mettere a fuoco scompare, lasciando un vuoto frustrante al centro del campo visivo.

Tra le due manifestazioni della DMLE, la forma atrofica (o secca) è la più diffusa e la più insidiosa: è caratterizzata da un lento ma inesorabile esaurimento dei fotorecettori, le cellule specializzate che catturano la luce e la traducono in impulsi neurali per il cervello.

La situazione è resa ancor più drammatica dal fatto che, finora, non esiste un trattamento curativo definitivo.

La novità che potrebbe cambiare la situazione

La scienza ha dispiegato una sinergia high-tech: un microchip fotovoltaico ultra-sottile, impiantato chirurgicamente al di sotto della retina danneggiata, sta restituendo la capacità di leggere ai pazienti affetti da questa patologia degenerativa.

Il dispositivo è chiamato PRIMA (Photovoltaic Retina Implant Microarray), un impianto sottoretinico microscopico frutto dell'ingegno di Daniel Palanker, fisico di Stanford, e dello sviluppo meticoloso di Science Corporation.

La vera svolta risiede nell'integrazione di questo dispositivo, paragonabile per dimensioni a un granello di sabbia, con l'Intelligenza Artificiale (IA), la quale non solo assiste nell'elaborazione del segnale visivo, ma ottimizza anche la stimolazione delle cellule retiniche residue, traducendo la luce in impulsi neurali comprensibili al cervello.

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Un’innovazione epocale che è stata validata da un vasto studio multicentrico condotto tra i principali centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine.

Il chip lavora in tandem con un paio di occhiali a realtà aumentata, equipaggiati con una microcamera ad alta sensibilità:

  1. cattura e elaborazione: la microcamera acquisisce le immagini esterne, che vengono immediatamente elaborate da un piccolo computer tascabile;
  2. l'intervento dell'IA: gli algoritmi di IA decodificano e ottimizzano i dati visivi, convertendoli in precisi segnali elettrici;
  3. il circuito riattivato: questi impulsi elettrici, trasportati dal nervo ottico, raggiungono il cervello. Il cervello, interpretando questi segnali digitali come informazioni visive, restituisce ai pazienti la percezione della vista.

La caratteristica più sorprendente è la sua autonomia: non richiede cavi o batterie interne, perché l'energia necessaria per il suo funzionamento è fornita direttamente dal fascio luminoso stesso, rendendolo una vera e propria protesi retinica wireless.

I risultati ottenuti al momento

Il progetto PRIMA, sostenuto da un consorzio paneuropeo (Inserm, CNRS, Sorbonne Université) e dalla Stanford University, ha riunito 38 pazienti (età media 79 anni) in 17 centri tra Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito.

Tutti i partecipanti erano affetti dalla forma atrofica (secca) della DMLE e dovevano avere una misura, almeno in un occhio, che indicasse la virtuale incapacità di leggere qualsiasi lettera.

Dopo l'intervento, la visione bionica non è stata immediata: i pazienti hanno intrapreso mesi di intensiva riabilitazione visiva, imparando a "usare" il sistema: calibrare lo zoom degli occhiali, ottimizzare la messa a fuoco e rieducare il cervello a distinguere simboli e lettere processati digitalmente.


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I risultati clinici, valutati a sei e dodici mesi di distanza dall'intervento chirurgico, hanno superato le aspettative, offrendo una convalida scientifica all'approccio bionico.

L'obiettivo primario dei ricercatori era quantificare la percentuale di pazienti che ottenevano un miglioramento dell'acuità visiva di almeno 0,2 logMAR.

Su un totale di 32 partecipanti che hanno completato il ciclo annuale, le cifre sono state sbalorditive:

  • ritorno alla lettura: a un anno, ben l'81% dei pazienti ha guadagnato almeno 0,2 logMAR, che equivale a un miglioramento di dieci lettere sulla classica tabella oculistica;
  • oltre l'aspettativa: il 78% ha superato questa soglia, leggendo quindici lettere o più. In un caso eccezionale, un paziente ha registrato un guadagno straordinario di 59 lettere, un risultato che si traduce nel recupero di quasi un'intera riga di testo leggibile.

Ancor più eloquente dei dati è l'impatto sulla vita reale: l'84% dei pazienti ha riferito di essere finalmente in grado di distinguere lettere, numeri e parole nella quotidianità, grazie alle funzionalità di ingrandimento e contrasto del sistema.

È fondamentale sottolineare che la loro visione periferica naturale è rimasta completamente intatta, fornendo la cornice di sicurezza necessaria per muoversi.

Rischi e prospettive future

José-Alain Sahel, oftalmologo di fama mondiale e coautore dello studio, non nasconde l'entusiasmo: “Per la prima volta nella storia un impianto sotto retinico non solo ha ripristinato un certo grado di visione, ma ha permesso a chi aveva perso la visione centrale di tornare a leggere, senza compromettere la vista periferica. È un traguardo che fino a pochissimi anni fa era ritenuto impensabile».

Nonostante i risultati spettacolari, però, occorre sottolineare che la complessità chirurgica non è esente da rischi: lo studio, infatti, ha registrato 26 eventi avversi gravi in 19 pazienti, la maggior parte dei quali erano previsti per un intervento di questa natura.

Tra questi: ipertensione oculare, distacchi di retina, fori maculari ed emorragie sotto retiniche; una totalità di questi eventi che, però, si è manifestata nei primi due mesi, con il 95% si è risolto rapidamente, autonomamente o con intervento medico.

“I benefici che abbiamo osservato hanno superato di gran lunga gli effetti negativi”, ha chiosato José-Alain Sahel. “Dove i precedenti impianti sotto retinici offrivano benefici limitati, PRIMA è il primo sistema a consentire ai pazienti con cecità centrale di leggere nuovamente parole e persino intere frasi, un risultato che ridefinisce le possibilità della medicina oftalmica moderna.”

Fonti:

The New England Journal of Medicine - Subretinal Photovoltaic Implant to Restore Vision in Geographic Atrophy Due to AMD

Arianna Bordi | Autrice e divulgatruce specializzata in psicologia, attualità e salute mentale per P. by pazienti.it
Scritto da Arianna Bordi | Autrice e divulgatruce specializzata in psicologia, attualità e salute mentale per P. by pazienti.it

Arianna Bordi è una professionista dell'informazione con un forte impegno nella divulgazione di tematiche legate alla salute psico-fisica, al benessere cognitivo e sociale, agli strumenti di prevenzione. Racconta le nuove evidenze che emergono dalla ricerca scientifica, con un focus in particolare su salute femminile, igiene del sonno, salute del cervello, psicologia, relazioni, dispositivi medici innovativi e nutrizione. In un contesto editoriale saturo e dispersivo, il suo lavoro si distingue per l’autorevolezza e l’attenzione alle fonti di riferimento: offre risposte aggiornate e rilevanti, strumenti indispensabili per orientarsi con cognizione di causa nel complesso universo di salute e benessere. La sua abilità di spaziare su tematiche afferenti all’ambito scientifico con autorevolezza, tra salute mentale, medicina di genere e neurologia, le conferisce una credibilità trasversale, conquistando un pubblico eterogeneo: da chi intraprende percorsi personali a professionisti del settore sanitario e preventivo. Arianna Bordi, dunque, utilizza la divulgazione per ancorare la salute nella vita di tutti i giorni, rendendola una decisione informata e a portata di mano.

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