E se i rapporti umani complicati danneggiassero la nostra salute?
Tra amore e ostilità, le relazioni ambivalenti, o “frenemies”, possono avere un profondo impatto sul benessere psicofisico, fino ad aumentare il rischio di malattie cardiovascolari. La scienza ne ha delineato la genesi: vediamo cosa dicono gli studi.
Cosa sono le relazioni “frenemy”
Nel linguaggio colloquiale anglosassone, il termine frenemy nasce dalla fusione di “friend” e “enemy”, indicando una relazione che alterna momenti di vicinanza affettiva ad altri di tensione, ambiguità o conflitto.
Si tratta di rapporti connotati da un’instabilità emotiva di fondo, in cui l’altro può rappresentare al contempo una fonte di supporto e di stress.
Non parliamo necessariamente di legami tossici in senso totalizzante, ma di relazioni, appunto, ambivalenti, complesse, che coinvolgono spesso colleghi, familiari o amici intimi.
Perchè sono più pericolose di un nemico dichiarato: l’effetto sul corpo
Secondo uno studio pubblicato su New Scientist, e sostenuto da anni di ricerche nel campo della psicologia sociale e della medicina comportamentale, le relazioni ambivalenti possono essere più dannose per la salute di quanto si creda.
Il motivo?
L’imprevedibilità emotiva genera uno stato di allerta costante, che attiva il sistema nervoso simpatico, elevando i livelli di cortisolo e infiammazione sistemica.
Uno degli studi più noti sul tema, condotto presso la Brigham Young University, ha rilevato che il solo pensiero di dover interagire con una persona ambivalente può causare un aumento significativo della pressione arteriosa. In altre parole, non serve un litigio o un conflitto esplicito: la sola anticipazione dell’incontro basta a innescare una risposta di stress fisico misurabile.
Paradossalmente, le relazioni ambivalenti risultano più nocive di quelle apertamente negative. Con un “nemico” chiaro, il cervello sa cosa aspettarsi e può organizzare una risposta difensiva coerente.
Al contrario, l’alternanza di comportamenti positivi e negativi rende il legame ambiguo e destabilizzante, impedendo al corpo di “rilassarsi”. La tensione costante è simile a quella vissuta in un contesto di allarme cronico, e può portare nel tempo a problemi cardiaci, insonnia, stanchezza cronica, ansia e disturbi dell’umore.
In una meta-analisi condotta dalla University of North Carolina, è emerso che le persone che mantengono numerose relazioni ambivalenti presentano una maggiore incidenza di infiammazione sistemica, che a sua volta è correlata a patologie croniche, in particolare cardiovascolari.
Perché queste relazioni ci attraggono (e bloccano), e come riconoscerle
Spesso, i frenemies fanno parte della nostra cerchia più stretta: colleghi di lunga data, parenti, amici d’infanzia. La storia condivisa e i momenti di autenticità rendono difficile riconoscere il disagio, oppure ci spingono a tollerarlo per senso di colpa o dovere affettivo.
Inoltre, la presenza di segnali positivi intermittenti (una parola gentile, un gesto affettuoso) può rinforzare il legame in modo simile a ciò che accade nei meccanismi di dipendenza emotiva: l’imprevedibilità diventa paradossalmente “coinvolgente”.
Tuttavia, come sottolineano gli psicologi sociali, l’impatto emotivo negativo accumulato nel tempo pesa molto più dei momenti positivi isolati. Il bilancio emotivo globale di una relazione va sempre considerato nella sua complessità, al di là degli episodi episodici.
Ecco alcuni segnali che possono indicare la presenza di una relazione ambivalente:
- emerge spesso la sensazione di essere emotivamente svuotato o ansioso dopo un’interazione;
- si manifesta l’incapacità di prevedere l’atteggiamento dell’altro: a volte è affettuoso, altre distante o critico;
- si presenta una reticenza dal condividere aspetti importanti per paura di essere giudicato;
- sorge la sensazione di dover camminare sulle uova per evitare tensioni;
- vi è una reciproca dipendenza, ma poco senso di sicurezza o sostegno.
Ma esistono dei modi per provare a proteggersi? Vi sono, in effetti, alcuni comportamenti che possono porre un limite ai danni provocati dai rapporti “frenemis”.
Vediamo quali:
- acquisire consapevolezza: riconoscere la natura ambivalente di un legame è il primo passo per tutelare la propria salute mentale e fisica;
- definire i confini: limitare il tempo trascorso con la persona o ridefinire le modalità di interazione può ridurre lo stress associato al rapporto;
- comunicare in modo assertivo: esprimere in modo chiaro ma rispettoso ciò che si prova può aiutare a chiarire la relazione o a renderla meno nociva;
- coltivare legami positivi: le relazioni basate su fiducia, empatia e reciprocità rafforzano la resilienza e migliorano la salute generale.
- consultare uno specialista: se il disagio è persistente, uno psicologo può aiutare a comprendere meglio le dinamiche relazionali e trovare strategie adatte al proprio caso.
Non tutte le relazioni complesse sono da etichettare come tossiche, ma alcune, se mantenute per lungo tempo, possono rappresentare un fattore di rischio per la salute.
La scienza ricorda, dunque, che l’ambiente emotivo in cui l’individuo abita ha un impatto concreto sul corpo. Pertanto, un ascolto presente rivolto ai segnali che mente e corpo emanano, la spinta ad agire con conseguente consapevolezza, emergono come fondamentali atti di cura verso il proprio sé e la propria salute.