Ogni anno si apre il dibattito sulle chiusure scolastiche estive e, nonostante i vari punti di vista sulla questione, una quadra non è stata ancora trovata.
Cerchiamo di capire di più in questo approfondimento, grazie anche alle testimonianze della nostra community.
Insegnanti e scuola: facciamo il punto
Nel contesto del pubblico impiego il settore scolastico si distingue per una dinamica occupazionale peculiare: nonostante un calo demografico significativo, stimato intorno al 30% negli ultimi vent'anni per quanto riguarda le nascite, il numero di docenti è aumentato del 5%.
Questa espansione contrasta con la stagnazione salariale che ha caratterizzato la categoria, portando a una progressiva depauperazione economica della professione.
Tale fenomeno si differenzia da altri comparti del pubblico impiego, dove la riduzione del personale è stata parzialmente compensata da adeguamenti retributivi.
Le vocazioni per la professione docente persistono, mostrando una concentrazione particolare nel Sud Italia: in queste regioni la scuola rappresenta spesso una delle poche opportunità di impiego stabile, specialmente per le donne, anche in assenza di una laurea specialistica, nonostante le normative vigenti da circa vent'anni prevedano l'obbligatorietà di tale titolo anche per l'insegnamento nella scuola primaria.
Sono, però, le aree del Centro-Nord che presentano una maggiore disponibilità di posti e strutture scolastiche; dunque, ciò innesca un significativo flusso migratorio di docenti dal Sud verso il Centro-Nord, stimato in circa la metà del personale formato nelle regioni meridionali.
I dati più recenti del Ministero dell'Istruzione (anno scolastico 2023/2024) evidenziano oltre 80.000 richieste di mobilità territoriale, di cui circa la metà sono state accolte.
La maggior parte dei docenti coinvolti in questa mobilità forzata sono donne, spesso non più giovanissime, che si trovano a condividere alloggi nelle periferie delle città del Centro-Nord per contenere i costi, replicando un modello di vita quasi studentesco.
Molte hanno intrapreso questa carriera in età matura, dopo che i figli sono cresciuti, lasciando la propria vita a migliaia di chilometri di distanza e rientrando a casa solo durante le festività natalizie e nel periodo estivo.
Per la quasi totalità di queste insegnanti, però, la prospettiva di stabilirsi permanentemente al Nord non viene contemplata; infatti, una volta maturati i requisiti minimi, questi insegnanti presentano domanda di trasferimento per rientrare nelle loro regioni di origine.
In questo contesto i tre mesi di vacanza estiva assumono un ruolo fondamentale per una professione che, pur essendo ormai prevalentemente femminile e scarsamente retribuita, permette una forma di migrazione quasi stagionale.
Un segnale inequivocabile di un cambio di rotta si manifesterà nel momento in cui si deciderà di rimodulare la distribuzione del carico scolastico e di superare l'attuale organizzazione che prevede circa cento giorni consecutivi di chiusura.
Sul nostro profilo Instagram abbiamo chiesto alla community, quella di genitori e insegnanti, di darci un riscontro in merito: ad esempio, è emerso da un’insegnante di scuola primaria che “un calendario scolastico che prevedesse delle pause più frequenti, ma meno lunghe, potrebbe giovare sia agli studenti, che non accumulerebbero stanchezza eccessiva, sia agli insegnanti.”
Anche un’insegnante di scuola secondaria di primo grado ha mostrato la stessa apertura al cambiamento: “Mi piacerebbe sperimentare una diversa scansione del tempo scuola, con più vacanze durante l'anno: credo che sarebbe più funzionale per l'affaticamento e i tempi di recupero per insegnanti e studenti.”
Un cambiamento è possibile?
L'Italia si distingue nel panorama europeo per il numero elevato di giorni di scuola, ben 200, a fronte di una media continentale che oscilla tra i 170 e i 190.
Questa maggiore permanenza in aula, però, si scontra con una realtà infrastrutturale problematica: ad agosto dello scorso anno il Coordinamento nazionale docenti dei Diritti umani (Cnddu) sottolineava come su oltre 40.000 edifici scolastici solo il 6% sia dotato di sistemi di condizionamento dell'aria.
Quel poco che c'è, inoltre, è spesso relegato agli uffici di presidenza e alle segreterie, lasciando le aule prive di un adeguato sollievo dal caldo soffocante.
Si tratta di una carenza strutturale che affonda le radici nel passato: quasi il 60% degli edifici scolastici è stato costruito prima del 1975, un'epoca in cui i condizionatori non erano affatto diffusi.
Per queste ragioni l’infrastruttura scolastica italiana si rivela totalmente inadeguata a sostenere le temperature estive e affrontare esami in queste condizioni, con il caldo che notoriamente riduce e altera l'attività cerebrale, è già di per sé penalizzante.
Dunque, è evidente che l'attuale distribuzione del calendario scolastico necessita di una revisione; non si tratta tanto di un eccesso di chiusura, quanto di una cattiva gestione del tempo scuola.
Tre mesi consecutivi di inattività scolastica risultano deleterie, soprattutto per gli studenti che vivono in contesti socio-economici più difficili e con minori stimoli culturali: ci si ritrova a consegnare a giugno ragazzi che hanno raggiunto determinati progressi per poi riprenderli a settembre costretti a ripartire dalle basi.
Come confermato da una delle docenti che ha voluto darci il suo punto di vista, “questa lunga pausa causa negli studenti quasi un oblio degli argomenti affrontati l'anno precedente e in certi casi un vero e proprio calo delle competenze.”
Si potrebbe imparare dalle esperienze di altri Paesi europei, che prevedono un numero maggiore di pause distribuite durante l'anno scolastico, consentendo così di estendere il periodo di lezione fino a fine giugno o metà luglio.
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L'implementazione di un tale cambiamento richiederebbe, però, investimenti significativi in infrastrutture e personale: servirebbero scuole dotate di sistemi di climatizzazione adeguati e una formazione specifica per diversificare le metodologie didattiche, come sottolineato dalle insegnanti che hanno risposto alle nostre Stories.
La realtà è che l'Italia ha storicamente mostrato uno scarso interesse per il settore scolastico, ricordandosene solo in momenti di crisi, come le lunghe estati o le pandemie, quando i figli sono costretti a rimanere a casa.
In tali frangenti è fin troppo semplice individuare negli insegnanti i capri espiatori, piuttosto che assumersi la responsabilità di esigere dalle istituzioni ciò che dovrebbe essere la norma: una scuola a misura di famiglia, ma soprattutto di studente e studentessa.
I genitori che ci hanno dato un riscontro trovano scomodo e dispendioso dover trovare delle soluzioni alternative durante i mesi estivi per i propri figli, ma affermano che "dal punto di vista della didattica, sicuramente i ragazzi perdono il ritmo e l’abitudine ad avere una routine, ma riescono anche a recuperare tutta la stanchezza accumulata durante l’anno scolastico e a tornare a settembre con più energia, anche mentale.
Dello stesso avviso sono, bilanciando pro e contro della situazione attuale, le insegnanti: "L'esperienza della noia, oppure per i più grandi la possibilità di fare i primi lavoretti, sono occasioni formative che non possiamo quantificare come scuola e come società, ma che secondo me hanno un peso di cui non si parla a sufficienza. Per gli insegnanti la lunga pausa permette a un docente di 'decomprimere' e di avere del tempo per studiare, aggiornarsi, informarsi."
Infine, come giustamente suggerito da una docente, è bene non dare per scontato nulla: “Siamo sicuri che i sistemi adottati all'estero siano così efficienti? Io ho parlato con colleghi che lavorano all'estero fino a luglio e dicono che le ultime settimane di scuola sono completamente buttate dal punto di vista dell'apprendimento. Insomma, mi piacerebbe sperimentare un modello diverso, ma non lo osannerei prima di averlo testato.”