L’esposizione mediatica dei bambini sui social è un argomento portato alla luce da diverso tempo, ma sono ancora presenti diverse ombre su quali siano i comportamenti deontologicamente corretti da adottare.
Scopriamo di più in questo approfondimento.
I minori esposti sul web non sono ancora abbastanza tutelati
Lo sharenting, termine derivato dall'unione di "share" (condividere) e "parenting" (genitorialità), si riferisce al fenomeno della eccessiva esposizione online di contenuti riguardanti i propri figli, un comportamento che può manifestarsi in diverse forme.
Come sottolinea il sito del Garante della privacy, lo sharenting è un fenomeno che desta preoccupazione, soprattutto per i potenziali rischi che comporta per l’identità digitale del minore e per lo sviluppo della sua personalità; la diffusione non consensuale di immagini, inoltre, può generare tensioni significative nel rapporto tra genitori e figli.
È pertanto fondamentale che gli adulti siano consapevoli delle conseguenze a cui espongono i minori con la pubblicazione online (spesso a carattere permanente) delle loro immagini, inclusa la possibilità che queste vengano utilizzate da terzi per scopi pedopornografici, ritorsivi o altri utilizzi impropri.
Le prime sentenze sul tema dello sharenting si concentrano principalmente sulla condivisione di materiale da parte di genitori separati, con decisioni che riflettono il principio del buon senso genitoriale, purtroppo non sempre scontato.
In assenza di una legislazione specifica la condotta di esposizione mediatica dei figli minorenni da parte dei genitori può essere soggetta a sanzioni o valutazioni giudiziarie, soprattutto in contesti di separazione.
Il caso mediatico più noto in Italia, quello della coppia Ferragni-Fedez, ha portato alla decisione di interrompere l'esposizione dei figli sui social media dopo la loro separazione.
Permane, però, un vuoto legislativo per quanto riguarda la pubblicazione di materiale con il consenso di entrambi i genitori, sottolineando l'urgenza di una regolamentazione specifica.
A livello internazionale, la Francia ha introdotto nel 2020 una legge che disciplina i compensi e il diritto all'oblio dei baby influencer, limitando gli orari di lavoro e obbligando i genitori a versare parte dei guadagni in un fondo accessibile ai figli al compimento dei sedici anni, oltre a prevedere il diritto alla cancellazione dei contenuti su richiesta dei figli.
Negli Stati Uniti, invece, alcuni stati stanno equiparando la legislazione del lavoro dei kidfluencer a quella dei giovani attori, con l'istituzione di fondi in cui versare il 15% dei guadagni, accessibili ai minori una volta maggiorenni.
In Italia, l'assenza di una normativa specifica sul fenomeno dei baby influencer rende applicabili solo disposizioni generali, come l'articolo 32 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, le norme sulla responsabilità genitoriale, sull'uso dell'immagine, sulla privacy (GDPR) e sul lavoro minorile, che consente attività lavorative di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario solo a partire dai 16 anni, purché non pregiudichino la sicurezza, l'integrità psicofisica e lo sviluppo del minore.
Si tratta di una lacuna normativa che crea un'area grigia e che equipara la presenza televisiva a quella social, nonostante l'esposizione di certi profili sia più pervasiva e duratura; di conseguenza, si rende necessaria una legge ad hoc per garantire una tutela adeguata dei baby influencer.
La serie tv Netflix che fa emergere i lati più oscuri
Il mercato dei baby influencer, in costante espansione, con esempi che spaziano da instagrammer adolescenti con un seguito di 200.000 follower a YouTuber in età prescolare con canali che vantano 4 milioni di follower e che promuovono giocattoli.
Si tratta di veri e propri influencer gestiti dai genitori/manager che capitalizzano sulla popolarità dei figli, ottenuta attraverso la narrazione sui social e la eccessiva condivisione di foto e video.
La figura di Piper Rockelle, adolescente protagonista del documentario Bad Influence su Netflix ha attirato l'attenzione pubblica in merito a questo fenomeno.
La sua presenza sui social media dura da anni, e mentre i suoi video su YouTube, incentrati su sfide con coetanei, appaiono perlopiù innocui, pur presentando contenuti che talvolta sollevano interrogativi sull'adeguatezza per un pubblico giovanile, il suo profilo Instagram mostra un quadro differente.
Attiva sulla piattaforma da quando aveva meno di dieci anni, Piper, ora diciassettenne, condivide immagini sempre più ambigue: pose in costume, gesti provocatori e balli sensuali.
Si nota che la maggioranza dei suoi follower non sono coetanei, bensì uomini adulti che interagiscono con messaggi di apprezzamento e richieste di contatto privato, sollevando preoccupazioni sulla natura delle interazioni e sul tipo di attenzione ricevuta.
Il numero di commenti relativi ai contenuti di Piper Rockelle è elevatissimo, e si sospetta che molti altri, di natura più audace e inappropriata, siano stati rimossi dalla manager e amministratrice dei suoi profili, figura identificata in Tiffany Smith.
Quest'ultima, non solo mammager di Piper ma anche manager del suo entourage, è al centro di un'indagine documentaristica di Netflix che punta i riflettori su un presunto quadro di sfruttamento e manipolazione esercitato sulla figlia e sui suoi coetanei.
Ai ragazzi sarebbe stato insegnato a mostrarsi provocanti e disinibiti davanti alla telecamera: inizialmente, lo spettatore potrebbe interrogarsi sulla propria percezione, chiedendosi se le immagini e i video non siano in fondo innocenti e se non sia piuttosto lo sguardo dell'osservatore a proiettare significati distorti e morbosi.
Potrebbe interessarti anche:
- I genitori si sentono sempre più soli. Scopriamo l'esempio del "Brooklyn Stroll", un gruppo di supporto per i neo papà
- I bambini possono e devono sbagliare per crescere, ma perché è così difficile accettarlo in quanto genitori?
- Ci sono davvero troppe diagnosi mediche nelle scuole? Parliamone con dati alla mano e opinioni degli specialisti
Nella docuserie viene anche descritto come Tiffany Smith abbia sottoposto la figlia a trattamenti estetici invasivi e a estenuanti sessioni di prove, forzandola a mantenere un sorriso anche in condizioni di evidente stanchezza.
Una volta intuite le potenzialità di Piper come star di YouTube, Smith avrebbe progressivamente ampliato il cast dei suoi video con la presenza di altri giovani, curando personalmente la regia e lasciando le riprese al partner.
Si tratta di kidfluencing, al suo livello più estremo e oscuro, ovvero l’esposizione strategica e spesso forzata dell’immagine dei bambini sui social.
A pagare, infatti, sono proprio i bambini o ragazzi: numerose, infatti, possono essere le conseguenze sulla salute mentale, sull'identità e sull'autostima dei minori, spesso trattati come piccole aziende di intrattenimento; così facendo non solo si rischia di mettere in pericolo i propri figli, sbandierati sui social senza nessun tipo di tutela, ma anche di privarli della spontaneità, della spensieratezza e dell'innocenza che appartiene loro di diritto.