Un'accesa controversia è riesplosa sull'educazione sessuale a scuola: il punto focale del dibattito è un emendamento della Lega che introduce un netto divieto di svolgere "attività didattiche e progettuali nonché ogni altra eventuale attività aventi ad oggetto temi attinenti all'ambito della sessualità" nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado.
Dunque, se già vi era la richiesta da parte di associazioni, famiglie e attivisti di aumentare la presenza dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole anche in gradi scolastici precedenti, la realtà politica attuale è ben diversa.
Facciamo il punto grazie al contesto sulla situazione italiana europea e approfondiamo il tema grazie al contributo dello psicologo e sessuologo Alberto Galia.
Famiglie e politica sulla stessa lunghezza d’onda?
Ecco, quindi, una sintesi della situazione nella realtà scolastica italiana dopo l’emendamento: oltre a quanto già detto, anche la scuola secondaria di secondo grado subirà delle limitazioni, poiché l'educazione alla sessualità non verrà preclusa del tutto, ma sarà strettamente subordinata al consenso informato dei genitori, i quali dovranno essere preventivamente messi a conoscenza dei temi e del materiale didattico utilizzato.
In sostanza, l'emendamento ridisegna radicalmente l'approccio scolastico ai temi della sessualità, blindando le scuole dei cicli inferiori e introducendo il "diritto di veto" familiare per le superiori.
Ma tutto ciò è compatibile con i desideri e le preoccupazioni delle famiglie?
Un'indagine Coop-Nomisma rivela la forte spinta degli italiani verso l'educazione relazionale: infatti, la survey La Scuola degli Affetti. Indagine sull’Educazione alle relazioni mette in luce un'ampia convinzione: la scuola è il palcoscenico ideale per imparare a relazionarsi, un percorso che molti genitori vorrebbero avesse inizio già dai primi anni del ciclo elementare.
Per rendere l'insegnamento davvero efficace gli intervistati indicano tre pilastri fondamentali:
- esperti in cattedra: il 68% del campione chiede a gran voce l'inserimento di figure professionali esterne, come psicologi e pedagogisti, nei programmi didattici;
- sportelli d'ascolto: il 62% sposa l'idea di attivare spazi specializzati per il supporto psicologico all'interno delle scuole;
- formazione al docente: il 51% ritiene cruciale un'adeguata preparazione specifica per gli insegnanti.
Infine, c'è un messaggio molto chiaro sul contenuto: ben il 90% dei genitori desidera che i programmi educativi abbraccino con completezza sia le dinamiche relazionali in generale che l'educazione alla sessualità.
La situazione in Europa: a che punto siamo
L’approccio europeo ai temi della sessualità in ambito scolastico è vario: la Svezia, pioniera, ne ha introdotto l'obbligo fin dal 1955, integrata nei programmi curriculari; un percorso intrapreso, poi, da molte altre nazioni, come la Germania (1968), la Danimarca, Finlandia e Austria (1970) e la Francia (1998), fino all'Irlanda (2003).
Si tratta di una lacuna educativa, quella legata all'educazione sessuale, che è vista con crescente preoccupazione, come dimostra, ad esempio, la recente campagna del Ministero dell’Uguaglianza spagnolo intitolata Porno. Por no hablar.
La ministra Ana Redondo ha lanciato l'iniziativa per denunciare come la pornografia stia distorcendo pericolosamente la percezione dei giovani su relazioni e consenso (un altro aspetto che andrebbe discusso con studenti e studentesse), specialmente in assenza di una adeguato percorso di supporto in molte scuole.
Nonostante, quindi, la situazione in Europa sia confortante, un piccolo gruppo, dove l'educazione sessuale non è ancora obbligatoria, resta indietro insieme a noi: Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Ungheria.
Di seguito le risposte del Dr. Galia.
Parlare di sessualità a scuola: perché è importante? Quali vantaggi rispetto al contesto familiare?
Se accettiamo la definizione di scuola quale luogo in cui sviluppare conoscenze e competenze che ci preparano al futuro — non solamente al futuro professionale — parlare di sessualità nelle scuole diventa il mezzo d’elezione per cominciare a vivere con maggiore consapevolezza uno dei principali sistemi motivazionali dell’uomo (e della maggioranza delle specie viventi): il sistema sessuale.
Nella pratica clinica sessuologica si incontrano molti uomini e donne che si relazionano al sesso con gli strumenti sbagliati: si tratta degli strumenti del controllo, del dovere, della performatività e della strumentalizzazione.
Educare bambini e adolescenti a esplorare quest’area così significativa della vita di ciascuno diventa dunque un obiettivo ambizioso ma imprescindibile per supportarli nello sviluppo di una relazione sana con sé stessi e con gli altri.
I vantaggi dell’educazione formale, rispetto al contesto familiare, sono molteplici: il ricorso a programmi ministeriali adattati allo sviluppo cognitivo del discente, la possibilità di far riferimento a formatori con un’expertise accreditata, ma soprattutto il valore normalizzante di un’esperienza di apprendimento gruppale, che consenta allo studente di osservare come i suoi dubbi o le eventuali insicurezze in quest’ambito riguardino la maggioranza dei suoi coetanei.
Da quale grado scolastico sarebbe ideale parlare di sessualità ai più piccoli?
Rispondo con una domanda provocatoria: a partire da quale grado scolastico dovremmo insegnare ai bambini a riconoscere i colori, o a contare fino a dieci?
Solitamente, quando ci domandiamo quale sia l’età giusta per parlare di sessualità ai bambini stiamo leggendo questo termine con le nostre lenti culturali, che sono poi le lenti di noi adulti che abbiamo vissuto in un contesto ancora parzialmente repressivo rispetto ai contenuti sessuali.
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Dobbiamo imparare, invece, a trattare la sessualità come una tematica fra le altre: quando il bambino comincerà a parlare, potrà imparare allo stesso modo i nomi dei principali distretti anatomici del suo corpo, nessuno escluso; e quando lo sviluppo cognitivo gli consentirà di comprenderlo, potremmo spiegargli in parole semplici come nascono i bambini.
Ad ogni modo, secondo UNESCO e OMS l’educazione alla sessualità dovrebbe cominciare con l’ingresso alla scuola primaria, che nel contesto italiano equivale all’età di sei anni.
Perché si pensa che psicologicamente sia controproducente parlare di sessualità sin da bambini?
Il malinteso parte da un dubbio di fondo: ma i bambini, che sono così innocenti, non si traumatizzano quando vengono a conoscenza delle dinamiche sessuali?
Ecco: parlare di innocenza, in questo caso, equivale a etichettare invece la funzione sessuale come qualcosa di sporco e aberrante, che non si confà alla delicata natura del bimbo.
È ovviamente un pregiudizio: già Freud, esattamente centovent’anni fa, descrisse approfonditamente la sessualità infantile nelle sue diverse manifestazioni.
La nostra cultura d’appartenenza ha sposato invece un modello traumatogeno della sessualità tale per cui l’esposizione precoce a contenuti riguardanti il sesso provocherebbe nel bambino una deviazione dalle traiettorie di sviluppo tipiche.
Si tratta, a parer mio, di un fraintendimento che origina dalla diffusione dei primi casi psicoanalitici, spesso connotati da esperienze sessuali precoci descritte come determinanti per lo sviluppo successivo.
Fonti:
- Nomisma, Coop - La Scuola degli Affetti. Indagine sull’Educazione alle relazioni;
- UNESCO - Comprehensive Sexuality Education (CSE) Country Profiles;
- OMS, BZgA - Standard per l’Educazione Sessuale in Europa. Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti