L'Italia si confronta con un circa 400.000 bambini che a 2-3 anni parlano poco o quasi per nulla, un 15% classificato come "parlatore tardivo" (late talker).
La vera preoccupazione, però, è che un bambino su quattro (il 25%) tra questi sviluppi un Disturbo Primario del Linguaggio (DPL), noto a livello internazionale come Developmental Language Disorder (DLD).
Scopriamo di più.
La situazione in numeri
Il DPL non è un fenomeno raro: colpisce complessivamente circa un bambino su 14 (il 7% in età prescolare).
Ad esempio, i primi risultati del progetto pilota romano "Crescere, Comunicare, Parlare", ha coinvolto circa 300 famiglie e oltre 50 educatrici in 14 asili nido del Municipio 8 di Roma, attraverso la somministrazione di un questionario mirato sullo sviluppo linguistico, accendono un faro sulla prevalenza delle difficoltà linguistiche precoci.
L'indagine ha rivelato che una percentuale significativa di bambini, compresa tra il 10 e il 12% dei piccoli tra i 24 e i 36 mesi, rientra nella fascia di rischio per problemi nello sviluppo del linguaggio.
Si tratta di numeri, emersi dall'iniziativa che ha previsto anche una formazione online per le educatrici e la restituzione personalizzata dei risultati ai genitori, che non rappresentano un'anomalia.
Sebbene in età scolare la situazione tenda a "stabilizzarsi" su un valore del 7,4%, l'impatto resta notevole: si parla di 1 bambino su 14, ovvero una media di 2 bambini per ogni classe che presenta difficoltà linguistiche.
Un'evidenza numerica che rafforza la necessità di investire nell'identificazione e nell'intervento tempestivo, confermando l'importanza di progetti che mirano a intercettare precocemente questi segnali di rischio.
Eppure, lamentano gli esperti, viene ancora confuso con altre difficoltà o identificato troppo tardi, quando le conseguenze si sono già radicate.
Infatti, se non diagnosticato tempestivamente, questo disturbo non "svanisce" con l'età e può minare il successo scolastico e le relazioni sociali in infanzia e adolescenza, per poi riemergere in età adulta, aumentando il rischio di ansia e depressione.
La sua complessità è aggravata dalle frequenti comorbidità con altri disturbi del neurosviluppo, come l'ADHD o i disturbi dell'apprendimento e della coordinazione motoria, come sottolinea Elisa Granocchio, neuropsichiatra infantile dell'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.
La sua ricerca apre uno sguardo al futuro, evidenziando come la genetica, con lo studio di alterazioni cromosomiche e varianti geniche, stia offrendo nuove chiavi interpretative e prospettive per terapie mirate.
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Non solo un problema medico: più del 60% degli adolescenti con DPL riporta episodi di bullismo, con difficoltà comunicativo-linguistiche che permangono (oltre il 15% tra gli adolescenti, con un rapporto 2:1 tra maschi e femmine) e influenzano la comprensione dei testi e la produzione scritta.
Un rischio di invisibilità che, come osserva Anna Giulia De Cagno, logopedista e vicepresidente Federazione Logopedisti Italiani (FLI), richiede che anche le scuole superiori siano sensibilizzate, per evitare che questi ragazzi restino senza diagnosi né supporto.
La necessità di un cambio di passo
Nonostante i numeri siano stabili nell'ultimo decennio, l'ampiezza di questa fascia di popolazione infantile esige un'azione decisa. Intercettare i segnali critici prima dei tre anni può significare evitare un aggravamento del quadro clinico.
"A sette anni dalla prima Consensus Conference sul Disturbo Primario del Linguaggio, è il momento di fare un salto in avanti," spiega Maria Chiara Levorato, referente CLASTA, organizzatrice del convegno e già professore ordinario alla Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova.
"Oggi disponiamo di conoscenze più solide, ma occorre rendere omogeneo l’accesso agli strumenti diagnostici e potenziare il lavoro in rete tra pediatri, educatori, clinici e famiglie."
L'obiettivo è chiaro: "migliorare l’identificazione precoce del disturbo e la presa in carico tempestiva, per ridurre le diseguaglianze e le conseguenze, spesso gravissime in adolescenza e in età adulta."
La diagnosi ufficiale può avvenire dai quattro anni, ma gli indicatori ci sono molto prima; Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani, insiste: "Nella fascia 0-3 anni ci sono tappe di sviluppo fondamentali." Per questo il focus si sposta sullo screening precoce entro i 36 mesi e sul coinvolgimento genitoriale.
Ma quando un ritardo è un campanello d'allarme? La distinzione tra un semplice late talker e un futuro DPL è cruciale; Alessandra Sansavini, professoressa ordinaria di Psicologia dello sviluppo all’Università di Bologna, fornisce le tappe fondamentali:
- a due anni un bambino dovrebbe produrre almeno 50 parole e a 2 anni e mezzo dovrebbe combinare almeno due parole per formare le prime frasi;
- anche il gesto di indicare è fondamentale: la sua assenza a 12 mesi o la scarsa produzione a 18 mesi sono indicatori critici.
Si tratta di indicatori che devono essere individuati precocemente dai pediatri, in collaborazione con genitori, educatori e insegnanti, e valutati da un'équipe multiprofessionale.
“Un tema cruciale, emerso con forza anche in questa edizione, è quello della carenza di logopedisti nel Servizio Sanitario Nazionale, unita alla scarsità di risorse strutturate nei percorsi scolastici. Occorre quindi un investimento sistemico su competenze e strumenti per l’intercettazione precoce, ma anche una nuova cultura della comunicazione”, conclude Manuela Pieretti, logopedista e pedagogista.