Il journaling è una pratica di scrittura introspettiva che permette di esplorare pensieri ed emozioni: attraverso la verbalizzazione, aiuta a ridurre lo stress attivando la corteccia prefrontale e inibendo l'amigdala, migliorando la regolazione emotiva. È uno strumento potente per il benessere psicologico.
Abbiamo deciso di parlarne con il Dr. Galia, psicologo esperto in disturbi d’ansia, insicurezza, bassa autostima e supporto nei periodi di transizione o di fronte a scelte di vita complesse.
Che cos’è esattamente il journaling e in che modo può aiutare nella gestione dello stress?
Il journaling, noto anche come scrittura espressiva o diaristica, sta guadagnando sempre più riconoscimento nel panorama del benessere psicologico.
Si tratta di una pratica che consiste nel mettere per iscritto pensieri, emozioni ed esperienze, con vari livelli di strutturazione e riflessività. Non si tratta semplicemente di annotare gli eventi della giornata, bensì di un processo più profondo di elaborazione cognitiva ed emotiva.
Quanto alla gestione dello stress, il journaling agisce attraverso diversi meccanismi: innanzitutto, il processo di verbalizzazione delle emozioni, noto come affect labeling, attiva la corteccia prefrontale, che ha un effetto inibitorio sull’amigdala, la struttura cerebrale responsabile delle risposte di stress emotivo. Ciò consente una migliore regolazione emotiva.
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Più in generale, numerose ricerche hanno dimostrato come la scrittura espressiva produca benefici misurabili sulla salute fisica e psicologica.
Pennebaker & Beall (1986), in particolare, hanno evidenziato come scrivere di eventi traumatici riduca significativamente i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, e migliori la risposta immunitaria.
Quali sono le modalità più efficaci per iniziare a scrivere un diario? Esistono tecniche o indicazioni da seguire?
Per iniziare efficacemente la pratica del journaling, può essere utile seguire alcune linee guida basate sulla ricerca. Il già citato protocollo di Pennebaker, validato da decenni di studi, prevede sessioni di scrittura di 15-20 minuti per 3-4 giorni consecutivi, sessioni in cui ci si focalizza su eventi significativi o emotivamente rilevanti (Pennebaker & Evans, 2014).
Per avviare un’attività di journaling, è fondamentale creare un ambiente sicuro e privato, dove sia possibile esprimersi liberamente senza timore del giudizio. La scrittura, inoltre, deve essere continua, senza preoccuparsi della forma: l’obiettivo è quello di assecondare un flusso di coscienza, non quello di scrivere un pezzo di letteratura.
Alcune domande aperte da cui partire: “Come mi sento oggi, e perché?”, “Quali sono stati gli episodi più significativi della giornata?”, o “Cosa ho imparato oggi su me stesso, gli altri e il mondo?”. Si tratta di domande in grado di facilitare l’autoriflessione senza risultare troppo impegnative per chi è alle prime armi.
Un aspetto cruciale è inoltre la scrittura a mano, quando possibile. La scrittura manuale, in particolar modo in corsivo, attiva processi cognitivi più profondi rispetto alla digitazione, favorendo anche l’utilizzo di onde cerebrali connesse al rilassamento profondo e all’ipnosi (Proietti, 2022).
Quanto conta la costanza nella pratica del journaling e come si può trasformare in un’abitudine sostenibile nel tempo?
La costanza rappresenta un elemento chiave per massimizzare i benefici del journaling: alcuni studi hanno mostrato come i benefici si manifestino in modo più evidente e duraturo quando la pratica è regolare (Baikie & Wilhelm, 2005). Questo non significa che sia necessario scrivere tutti i giorni: creare una routine sostenibile è ciò che conta.
Per trasformare il journaling in un’abitudine sostenibile, ad ogni modo, è importante seguire alcune indicazioni:
- cercare il piacere della scrittura: più che il dovere. Quando non ci va di scrivere, solitamente percepiamo il journaling come uno fra i tanti impegni quotidiani. Si può cercare il piacere in tanti modi: analizzando un fatto interessante che ci è accaduto, parlando di una persona cara, o cercando una situazione piacevole per farlo (fuori casa in una giornata di sole, o al tavolino del bar davanti a un caffè);
- non cadere nello schema tutto-o-nulla: alcune persone, avendo saltato un giorno, ritengono di aver rovinato la loro routine di scrittura, cadendo vittime di un bias perfezionistico;
- dedicarsi a cicli brevi di scrittura, quali il protocollo di Pennebaker (3-4 giorni);
- dedicarsi a sessioni brevi (5-10 minuti), così da rendere la routine più sostenibile.
Che tipo di domande o spunti possiamo usare quando non sappiamo cosa scrivere?
Il blocco dello scrittore è un fenomeno comune anche nel journaling.
Ecco alcune domande da porsi quando ci sembra di non aver nulla da dire:
- “C’è qualche pensiero che mi sta causando disagio?”;
- “Se fossi il protagonista di un libro, come descriverei questo capitolo della mia vita?”;
- “Quali sono i miei obiettivi in questo periodo?”;
- “Come sono cresciuto rispetto a un anno fa?”;
- “C’è qualcosa che temevo sarebbe successo e che invece non si è verificato?”;
- “Quali sensazioni fisiche noto nel mio corpo ora?”.
E se non dovessero funzionare nemmeno queste? In questi casi mi piace rubare l’idea che Eugen Gendlin (1981) ha avuto quando ha messo a punto la tecnica introspettiva del focusing: stimolare la risposta della mente inconscia con una provocazione.
È sufficiente chiedersi: “Beh, tutto perfetto oggi, vero? Non c’è nulla che non va”. Provare per credere.
Il journaling può essere utile anche per elaborare emozioni come rabbia, tristezza o senso di colpa? Come?
Decisamente . Il journaling rappresenta uno strumento particolarmente efficace per l’elaborazione delle emozioni, in quanto agisce attraverso una serie di meccanismi.
Per quanto riguarda la rabbia, la scrittura espressiva permette di esprimere l’emozione in modo sicuro, senza conseguenze negative sul piano interpersonale. Consentendo all’emozione di emergere su carta, è possibile inoltre facilitarne il declino.
Quello dello sfogo, ad ogni modo, è solo uno dei meccanismi possibili; in alcuni casi può essere importante, infatti, procedere con un’analisi: “Cosa ha scatenato questa rabbia?”, “Qual è il bisogno in soddisfatto dietro questa emozione?”, “Quali valori sto cercando di difendere, con la mia rabbia?”, “Qual è il modo più conveniente di affrontare questa situazione, al di là dello sfogo immediato?”.
Quanto alla tristezza, il journaling è in grado di facilitare il cosiddetto “lavoro del lutto”, non solo in caso di perdite importanti, ma anche in occasione di delusioni e transizioni di vita.
La scrittura permette di dar voce al dolore, validandolo e attraversandolo contemporaneamente. Alcune domande utili: “Su cosa mi invita a focalizzarmi, questa tristezza?”, “Che significato ha questa perdita per me?”, “Come posso onorare ciò che ho perso mentre mi muovo verso il futuro?”.
Il senso di colpa richiede infine un approccio più strutturato, trattandosi di un’emozione complessa. Può includere aspetti di rabbia verso di sé, tristezza per l’irreparabile, delusione per le conseguenze negative del proprio comportamento, vergogna per l’essere stati scoperti a violare una regola sociale.
Ritengo più utile, nel caso della colpa, affrontare una alla volta le sue diverse componenti.
Nel caso di un eccessivo senso di colpa, tipico delle condizioni ossessive, alcune domande di supporto al journaling potrebbero essere: “Quanto dell’esito di questa situazione era sotto il mio controllo diretto?”, “I miei standard morali sono realistici?”, “Cosa direi a un amico che si trova nella mia stessa situazione, e con quale tono di voce gli parlerei?”.
Il journaling è adatto a tutti? Ci sono casi in cui potrebbe non essere efficace o addirittura controproducente?
Nessuno strumento è adatto a tutti: anche se il journaling apporta generalmente dei benefici, esistono dei casi in cui non è indicato:
- casi di psicosi: le persone con disturbi psicotici attivi potrebbero trovare la scrittura espressiva destabilizzante, in quanto in grado di amplificare il delirio;
- precoce o intensa esposizione immaginativa al trauma: individui con gravi disturbi dissociativi, o con intensa risposta al trigger traumatico, potrebbero sperimentare un aumento dei sintomi durante la scrittura, in particolar modo durante i primi giorni di scrittura e nei momenti in cui si focalizzano sul trauma (Sloan & Marx, 2004);
- tendenze ossessivo-compulsive: alcuni individui potrebbero voler cercare di scrivere tutto, analizzare ogni pensiero, o cercare spiegazioni a comportamenti complessi, aumentando i livelli di dubbio patologico.
Più in generale, il journaling è sconsigliato quando lo si intende come un sostituto di trattamenti più appropriati (ad esempio la psicoterapia), quando le aspettative sulla sua efficacia sono eccessive oppure, più semplicemente, quando non sembra dare benefici.