Su Nature Medicine è appena stato pubblicato uno studio dove si indaga la sordità genetica dovuta alla mutazione del gene Otof.
Si tratta di uno studio molto contenuto ma significativo: finora questo tipo di terapia genica era stato testato solo su bambini. I risultati sembrano incoraggianti, ma i maggiori benefici si sarebbero osservati nella fascia di età 5/8 anni.
Scopriamo di più.
L’otoferlina
Il gene Otof è responsabile della produzione di una proteina chiamata otoferlina, fondamentale per il corretto funzionamento dell’udito.
Quando un suono raggiunge l’orecchio interno, e in particolare la coclea (una struttura a spirale che funge da “centralina” sensoriale per l’udito), viene trasformato in un segnale elettrico che deve essere trasmesso ai neuroni uditivi, i quali lo porteranno fino al cervello – dove sarà interpretato come suono.
La otoferlina è cruciale in questa fase, dal momento che permette la comunicazione tra le cellule sensoriali della coclea e i neuroni.
Quando il gene Otof presenta mutazioni patologiche, questa proteina non funziona correttamente, o è assente, e il segnale acustico non può essere trasmesso in modo efficace.
Il risultato è una forma di sordità congenita, cioè presente fin dalla nascita.
La terapia
Ed è qui che entrano in gioco i ricercatori di cinque ospedali cinesi, in collaborazione con quelli del Karolinska Institutet (Svezia): l’idea del pool di scienziati è quella di iniettare nell’orecchio interno (in anestesia totale) dei pazienti con sordità genetica una versione funzionante del gene stesso.
Si tratterebbe, quindi, di una soluzione contenente uno o più virus innocui che trasportano il gene privo di mutazioni; in questo modo le cellule della coclea vengono messe nella condizione di poter produrre una versione funzionante della otoferlina.
Lo studio in questione si basa su dieci partecipanti, di cui otto di età inferiore o uguale a 8 anni, e tre con meno di 2 anni.
Tre hanno ricevuto l’iniezione in entrambe le orecchie, mentre gli altri sette l’hanno ricevuta in un solo – a causa della presenza di un impianto cocleare nell’altro; di loro, uno ha ricevuto due iniezioni nello stesso orecchio a distanza di 4 mesi una dall’altra.
Benefici e prospettive future
La terapia è stata generalmente ben tollerata e nessuno avrebbe sviluppato gravi reazioni avverse nei 6/12 mesi successivi all’iniezione – l’unico effetto collaterale riportato è una riduzione nel numero di neutrofili, un tipo di cellule del sistema immunitario.
Già dopo un mese dall’iniezione si sono potuti apprezzare i primi benefici, con una stabilità del volume minimo udibile passato da 106 a 52 decibel dopo soli sei mesi.
I risvolti migliori sono stati osservati nella fascia di età 5/8 anni, ma anche i più grandi e i più piccoli avrebbero mostrato alcuni miglioramento.
Gli autori dello studio sottolineano che i motivi della possibile correlazione fra età ed efficacia non sono noti al momento: si tratta di risultati preliminari, saranno necessarie ulteriori ricerche per validarli, visto soprattutto il limitato numero di partecipanti.
Inoltre, sarà necessario monitorare se i benefici si protraggono anche sul lungo periodo, dato che si tratta di terapie in fase di sperimentazione.