Un team del Broad Institute di Cambridge (Massachusetts, USA) ha individuato 11 “endotipi” di obesità, ognuno caratterizzato da meccanismi biologici differenti.
Si tratta della prima volta in cuicun’analisi genetica così estesa, condotta su più di due milioni di individui, evidenzia con precisione le diverse “forme” di obesità, fino a oggi considerata per lo più una condizione unica.
Ma per quale motivo la scoperta di molteplici varianti di obesità è da considerarsi importante per riscerca scientifica e salute pubblica?
Vediamo lo studio e il cambio di visione che ne è conseguito.
Obesità: una visione nuova
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’obesità come un eccesso di grasso corporeo tale da comportare rischi per la salute, valutato principalmente attraverso l’indice di massa corporea (BMI).
Si tratta di un criterio semplice e diffuso, ma sempre più considerato riduttivo: non tutte le persone con BMI elevato sviluppano infatti complicanze metaboliche o cardiovascolari.
Negli ultimi anni alcuni ricercatori hanno tentato di affinare la classificazione, introducendo la categoria di “obesità preclinica” per distinguere chi presenta già sintomi (come ipertensione, difficoltà respiratorie o problemi cardiaci) da chi potrebbe svilupparli solo in un secondo momento.
La nuova ricerca genetica guidata da Akl Fahed dimostra però che questa suddivisione è da considerarsi ancora troppo approssimativa.
Sicché l’obesità non è solo una questione di quantità di grasso corporeo o di presenza di sintomi, ma il risultato di meccanismi biologici profondamente diversi.
È proprio questa complessità, resa evidente dall’identificazione di 11 endotipi distinti, a spiegare perché i soggetti affetti da obesità possano presentare profili di rischio e risposte ai trattamenti così eterogenei.
Ma leggiamo lo studio e scopriamone i risultati.
Lo studio: cosa dice e come è stato condotto
I ricercatori hanno eseguito un’analisi di associazione su tutto il genoma (genome-wide association study) per individuare legami tra varianti genetiche, BMI, circonferenza della vita, rapporto vita-fianchi e altre misure corporee.
Il risultato è stato l’identificazione di 743 regioni genetiche associate all’obesità, di cui 86 mai segnalate prima.
Analizzando come queste varianti agiscono su specifici, tessuti e processi biologici, come sulla produzione di insulina, sono stati individuati 11 cluster distinti, validati successivamente su un campione di oltre 48.000 persone del Mass General Brigham Biobank.
Quali sono gli 11 tipi di obesità individuati dallo studio
I ricercatori parlano di endotipi e non di sottotipi: a differenza di questi ultimi, più endotipi possono coesistere nello stesso individuo con gradi di influenza variabili.
Vediamo quali sono questi endotipi:
- obesità metabolicamente non sana;
- obesità metabolicamente sana;
- sei endotipi legati alla regolazione e produzione di insulina;
- un endotipo correlato alla disregolazione del sistema immunitario;
- un endotipo legato al controllo ormonale dell’appetito e del peso;
- un endotipo associato al metabolismo dei lipidi.
Una scoperta di notevole rilevanza: perché?
La classificazione rilevata potrebbe cambiare in modo profondo l’approccio clinico alla complessità di questa patologia.
Riconoscere nell’obesità, non una condizione unica e generica, ma ben 11 entità biologiche differenti, permette di spiegare, ad esempio, perché alcuni trattamenti farmacologici risultano inefficaci su determinati casi clinici.
“Alcuni pazienti non rispondono ai farmaci a base di agonisti del recettore GLP-1, come Ozempic o Wegovy, perché questi non agiscono sul meccanismo biologico dominante nel loro caso”, spiega, per l’appunto, Frank Greenway della Louisiana State University.
Rendersi consapevoli delle diverse forme di obesità, sottolinea Laura Gray dell’Università di Sheffield, “consentirà di sviluppare interventi più mirati e di offrire cure personalizzate, sia in ambito terapeutico sia nella prevenzione”.
Poiché sei endotipi su undici sono legati all’insulina, strategie mirate alla regolazione glucidica potrebbero risultare efficaci su più cluster, aggiunge Min Seo Kim, coautore dello studio.
Quali sono, dunque, le prospettive future? Gli esperti ritengono che si tratti di una scoperta che incarna ancora l’inizio. “Il numero 11 riflette le conoscenze genetiche attuali, ma in futuro potrebbero emergere altri endotipi man mano che la ricerca avanza”, spiega Gray.
Non mancano tuttavia le cautele. Henriette Kirchner dell’Università di Lubecca avverte che il numero potrebbe anche ridursi, se gli studi futuri porteranno a una definizione più precisa: “L’idea dei cluster è promettente, ma serviranno ulteriori conferme perché sia davvero utile nella pratica clinica”.
Intanto, rimane certo che ci si trovi davanti a una scoperta in grado di dilatare il panorama della ricerca, e delle svolte che può intraprendere in campo terapeutico. E questo è sostanziale.