Nuove evidenze sul declino cognitivo: il ruolo chiave di uno stile di vita strutturato

Alessandra Familari | Autrice e divulgatrice informazione sanitaria
A cura di Alessandra Familari
Autrice e divulgatrice informazione sanitaria

Data articolo – 29 Luglio, 2025

Una donna che pratica Yoga su una spiaggia.

Un approccio multidimensionale, integrato e guidato, nonché la combinazione di attività fisica, dieta sana, stimolazione mentale e relazioni sociali, potrebbe rallentare in modo significativo il declino cognitivo. 

A suggerirlo sono i risultati dello studio clinico US POINTER, un’indagine su larga scala condotta dal team della Wake Forest University School of Medicine, pubblicata il 28 luglio 2025 e accolta con  attenzione dall'intera comunità scientifica.

I dati emersi mostrano che modificare in modo consapevole e duraturo il proprio stile di vita può agire sulla memoria, sulle funzioni esecutive e sulla velocità di elaborazione cognitiva, in particolare in soggetti tra i 60 e i 79 anni con abitudini sedentarie e altri fattori di rischio per la demenza.

L’effetto riscontrato è stato tanto più significativo quanto più strutturato e costante è stato il percorso seguito.

Ma vediamo i dettagli della ricerca e dei risultati cui ha condotto.

Interventi strutturati vs autogestione: cosa dice lo studio POINTER

Lo studio ha coinvolto 2.113 partecipanti considerati a elevato rischio di declino cognitivo, in quanto sedentari, con alimentazione subottimale e almeno altri due criteri di vulnerabilità neurologica (come familiarità per demenza). 

I soggetti sono stati suddivisi in due gruppi: uno ha seguito un programma strutturato, l’altro ha ricevuto linee guida minime per un’autogestione.

Il gruppo strutturato ha partecipato a 38 incontri in piccoli gruppi nell’arco di due anni, con il supporto di facilitatori esperti. Il programma prevedeva esercizio fisico regolare in centri comunitari, adozione della dieta MIND (ricca di verdure a foglia verde, bacche, legumi e cereali integrali), sessioni settimanali di allenamento cognitivo online e attività di socializzazione.

Il gruppo autogestito, invece, ha preso parte a solo sei incontri in due anni e ha ricevuto materiale informativo pubblico, oltre a un piccolo incentivo economico per favorire il cambiamento di abitudini.

Al termine del biennio, entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento nei punteggi cognitivi, ma i risultati del gruppo strutturato sono stati superiori: +0,24 deviazioni standard all’anno rispetto ai valori iniziali, contro +0,21 del gruppo autogestito. Una differenza contenuta ma statisticamente significativa, che secondo gli autori rallenta il "metronomo" dell’invecchiamento cerebrale di circa uno o due anni. 

Un potenziale modello? Verso una prevenzione sostenibile e replicabile

Il dato più rilevante, secondo la ricercatrice principale Laura Baker, è che tali benefici sono stati osservati in individui cognitivamente normali, seguiti per un periodo relativamente breve. Il progetto POINTER prevede infatti un’estensione a sei anni totali, che potrà chiarire meglio l’impatto di lungo termine.

Anche se il miglioramento non è percepibile nella quotidianità familiare, come ha osservato Claudia Suemoto dell’Università di San Paolo, il potenziale preventivo di un intervento così strutturato è rilevante per la salute pubblica

Si tratta, inoltre, di un modello replicabile: non implica investimenti elevati, ma piuttosto un accompagnamento costante da parte di caregiver, educatori sanitari e professionisti della salute.

Secondo Gill Livingston, geriatra dell’University College London “è importante che questo studio mostri come i miglioramenti dello stile di vita abbiano effetti positivi concreti, anche se non esclusivi”

A fronte di costi elevatissimi per la gestione delle demenze, ogni strategia preventiva basata su evidenze scientifiche rappresenta un’opportunità che occorre di essere osservata e considerata su un piano di politiche sanitarie.

Questo studio, oltre alle implicazioni sociali, scientifiche e di misura sanitaria apre a una riflessione importante. Ricorda, e insegna, come l’essere umano sia biologicamente e psicologicamente complesso, e come questo determini la necessità di un approcciò equivalente. 

Non si può pretendere di rispondere alla complessità con la superficialità: un problema complesso richiede una postura ed un approccio sfaccettati, particolari, adattivi.

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