Il Professor Francesco Bandello è uno dei massimi esperti internazionali nel campo delle patologie retiniche. In questa intervista ci aiuta a fare chiarezza su cosa siano le maculopatie, come riconoscerle e affrontarle, e su quali siano oggi le sfide e le speranze nel trattamento di queste patologie oculari.
Con una carriera accademica e clinica di rilievo, il Professor Bandello è autore di oltre 1.100 pubblicazioni scientifiche e partecipa attivamente alla ricerca sulle malattie della macula, come la degenerazione maculare legata all’età, edema maculare diabetico o secondario e vasculopatie retiniche.
Professore, ci spiega in parole semplici che cosa sono le maculopatie e perché colpiscono una parte così delicata dell’occhio come la macula?
La macula è la parte più centrale e specializzata della retina, deputata alla visione distinta e dettagliata. Ogni volta che fissiamo qualcosa, lo facciamo con la macula: che sia leggere, guidare, riconoscere un volto. Le maculopatie comprendono un insieme di patologie che colpiscono proprio questa zona e tra queste la più comune è la degenerazione maculare legata all'età (DMLE). È importante sottolineare che la DMLE non porta quasi mai a cecità completa, ma può compromettere seriamente la qualità della visione centrale, rendendo difficile svolgere molte attività quotidiane. La parte periferica della retina resta solitamente integra, permettendo comunque una certa autonomia.
Quali sono i principali sintomi a cui prestare attenzione e come si arriva a una diagnosi precoce?
I principali sintomi sono due: la riduzione della vista e la visione distorta (metamorfopsia). Quando si percepiscono immagini storte o difficoltà a leggere, è fondamentale rivolgersi subito a uno specialista. La diagnosi precoce è determinante: più si interviene tardi, più le cellule retiniche danneggiate diventano irrecuperabili.
Vorrei precisare che oggi viviamo più a lungo, ma con l’aumento della longevità crescono anche le malattie croniche legate all’invecchiamento. Se non impariamo a gestire queste malattie, rischiamo di aver fatto un "pessimo regalo" alla popolazione, come ha detto il Direttore dell’OMS, ossia si rischia di allungare la vita senza garantirne la qualità.
Oggi esistono trattamenti efficaci per le maculopatie, in particolare per la degenerazione maculare legata all’età? Come funzionano?
Esistono terapie efficaci, ma è essenziale agire presto. Le cellule nervose della retina, come quelle del cervello, non si rigenerano. Se muoiono, il danno è irreversibile. Le attuali terapie, come le iniezioni intravitreali di anti-VEGF, mirano a bloccare la progressione della malattia. Una volta che le cellule nervose vengono danneggiate non possiamo tornare indietro, ma possiamo fermare il danno. Il trattamento precoce è quindi l’unica arma davvero efficace che abbiamo.
È possibile fare prevenzione? Quali stili di vita o abitudini possono davvero fare la differenza?
Assolutamente sì. Esistono fattori di rischio modificabili: il fumo di sigaretta, l’esposizione prolungata e non protetta alla luce solare, una dieta povera di nutrienti. Esporsi troppo ai raggi UV, soprattutto senza protezione fin dall'infanzia, può aumentare il rischio. Un'alimentazione ricca di frutta, verdura, pesce azzurro, cereali integrali e olio d’oliva è protettiva. Promuovere anche una corretta informazione attraverso iniziative come la Carta della Salute dell’Occhio è fondamentale: la gente deve sapere che la vista si può salvare, ma solo se si agisce subito.
Che impatto hanno queste patologie sulla qualità della vita dei pazienti, soprattutto nelle forme più avanzate?
Un impatto profondo, spesso sottovalutato. Circa il 30% dei pazienti sviluppa sintomi depressivi clinicamente rilevanti. La perdita della visione centrale arriva in una fase della vita in cui le persone sono già fragili. Viviamo in una società dove le informazioni ormai passano dalle immagini: se non riesci più a leggere o guardare la televisione, sei tagliato fuori. Gli anziani spesso vivono soli, senza una rete sociale protettiva. Nei piccoli paesi magari c'è ancora un senso di comunità, ma in città come Milano si può vivere anni senza sapere chi abita sullo stesso pianerottolo. Serve quindi più assistenza, più supporto, più comprensione per questi pazienti.
Guardando al futuro: quali sono le prospettive più promettenti della ricerca in questo campo?
Ci sono due filoni principali. Da un lato, lo sviluppo di farmaci a lunga durata d'azione: le nuove molecole permettono di ridurre la frequenza delle iniezioni intravitreali, migliorando la qualità della vita dei pazienti. Dall'altro, la terapia genica, che potrebbe rivoluzionare tutto. Stiamo lavorando su tecniche che introducono direttamente nell’occhio geni capaci di stimolare la produzione autonoma degli effetti dei farmaci. L'obiettivo è arrivare a una singola procedura che possa risolvere la patologia alla radice. Ma non è solo un tema medico: è anche economico. I decisori sanitari devono considerare che un farmaco più duraturo può ridurre i costi indiretti legati a trasporti, accompagnatori e giornate di lavoro perse per i caregiver che si prendono cura dei propri cari che sono affetti dalla patologia.
Professore, vuole aggiungere un ultimo pensiero?
Solo uno: la vista è un bene prezioso. Proteggerla è un atto di responsabilità personale e collettiva. La prevenzione non è un lusso, è una necessità. E noi medici, insieme a chi si occupa di informazione e salute pubblica, dobbiamo fare di tutto per sensibilizzare l’opinione pubblica.