La violenza domestica non si esaurisce nel momento in cui avviene. A dimostrarlo é la ricerca scientifica, che mostra conseguenze non solo nella memoria o nei sintomi psicologici, ma nei meccanismi epigenetici che regolano l’attività dei geni.
È la direzione indicata da EpiWE, il programma dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nato per indagare come e per quanto tempo la violenza possa lasciare tracce biologiche misurabili.
Vediamo nel dettaglio cosa significa in termini di salute a lungo termine.
Violenza domestica e salute: quando il trauma modifica i geni
L’iniziativa, finanziata dal Ministero della Salute, ha raccolto i primi dati su un gruppo di donne che hanno donato un campione di sangue e compilato strumenti digitali innovativi per valutare gli effetti della violenza sulla salute fisica e mentale.
Inoltre il progetto è stato esteso anche ai minori che hanno assistito agli episodi di violenza domestica, un campo di studio ancora poco esplorato ma cruciale per la prevenzione.
La domanda scientifica da cui parte EpiWE è estremamente mirata: la violenza può lasciare una “firma biologica” sul DNA?
L’epigenetica suggerisce di sì. I traumi gravi e ripetuti nel tempo possono determinare modificazioni che non cambiano la sequenza genetica, ma alterano il modo in cui i geni funzionano.
Ma quali sono le conseguenze di tale alterazione sulla salute?
Questo può influenzare vari aspetti, tra cui:
- il sistema immunitario;
- la risposta allo stress;
- l’umore;
- il sonno;
- la vulnerabilità a disturbi psicologici.
Secondo i dati preliminari dell’ISS, raccolti su 76 donne vittime di violenza:
- il 27% ha una diagnosi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD);
- il 28,4% presenta un PTSD complesso, più severo e legato a traumi prolungati;
- il 23% mostra sintomi depressivi significativi;
- il 32% è ad alto rischio di subire nuovamente violenza;
- nel 97% dei casi l’aggressore è un uomo, spesso partner o ex partner;
- nel 90% dei casi la violenza è stata ripetuta nel tempo.
Questi numeri confermano quanto la violenza domestica sia un fenomeno sistemico e prolungato, non un evento isolato. E mostrano che la sofferenza psicologica non è soltanto emotiva: lascia impronte nei sistemi biologici che regolano lo stress e l’equilibrio psicofisico.
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Ma come funziona il progetto? si tratta di un questionario digitale che intercetta il trauma.
Per raccogliere informazioni affidabili, l’ISS ha sviluppato EpiWEAT, un questionario elettronico disponibile in cinque lingue e progettato per raggiungere anche donne straniere e mediatori culturali. Le risposte verranno integrate con analisi sui campioni di sangue alla ricerca delle cosiddette “cicatrici epigenetiche”.
L’obiettivo non è solo descrittivo: identificare queste impronte potrebbe aiutare, in futuro, a prevedere l’insorgere di disturbi fisici e psicologici e attivare percorsi di cura personalizzati prima che la situazione degeneri.
Non solo donne: i minori che assistono alla violenza
Una delle innovazioni più significative del progetto è l’estensione ai bambini e agli adolescenti. Gli studi sugli “effetti della violenza assistita” mostrano che il trauma non riguarda soltanto chi subisce l’abuso in prima persona: anche chi osserva o ascolta, soprattutto se minorenne, può sviluppare conseguenze profonde.
Per indagare questo aspetto, l’ISS ha elaborato EpiCHILD, uno strumento digitale pensato per i minori tra i 7 e i 17 anni. I primi risultati – raccolti in Puglia su 26 bambini – delineano un quadro allarmante:
- quasi l’80% ha vissuto come traumatico l’assistere a violenze fisiche;
- sono stati identificati diversi casi di PTSD e depressione;
- il 42,3% ha genitori separati o divorziati;
- nel 92,3% dei casi l’aggressore è il padre.
Per la scienza questo tipo di dati è essenziale: gli effetti psicologici, biologici e sociali del trauma nell’infanzia possono estendersi per anni e influenzare sviluppo, salute mentale e relazioni affettive future.
Violenza domestica: verso nuove strategie di prevenzione
Dalle analisi dell’ISS emerge con chiarezza la necessità di potenziare la prevenzione e l’intercettazione precoce. Le raccomandazioni principali includono:
- screening sistematici nelle strutture sanitarie;
- interventi multidisciplinari integrati tra sanità, scuola e servizi sociali;
- protocolli personalizzati basati su evidenze scientifiche;
- monitoraggio nel tempo dell’evoluzione dei sintomi;
- creazione di banche dati per studiare gli effetti del trauma anche nelle generazioni successive.
Lo studio proseguirà con follow-up programmati per comprendere come evolvono nel tempo le cicatrici psicologiche ed epigenetiche e per costruire un modello di prevenzione basato su dati e non solo su osservazioni cliniche.
EpiWE, dunque, apre una prospettiva senz'altro innovativa, mostrando come la violenza non sia soltanto un problema sociale o psicologico, ma incarni un fattore di rischio biologico che può lasciare tracce concrete e misurabili.
Significherà, in futuro, offrire alle vittime percorsi di cura personalizzati e prevenire conseguenze che oggi emergono dopo anni.
Fonti:
IIS - Violenza sulle donne: un disturbo da stress post traumatico per oltre metà delle vittime, il progetto che cerca le ‘cicatrici’ sul Dna esteso ai minori