È emerso che le persone con Alzheimer presentano livelli di litio nel cervello più bassi rispetto a chi non manifesta alcun deterioramento cognitivo.
La carenza di questo elemento, infatti, sembra accelerare l'accumulo delle placche amiloidi e la perdita di memoria, sintomi tipici della malattia.
Questi effetti, però, sembrerebbero essere reversibili con una piccola dose di litio, offrendo nuove speranze per il trattamento.
Approfondiamo queste recenti scoperti grazie agli studi scientifici a disposizione.
Litio e Alzheimer: cosa sappiamo finora
La ricerca guidata da Bruce A. Yankner, professore di genetica e neurologia presso la Harvard Medical School, ha evidenziato che le persone affette da Alzheimer hanno concentrazioni più basse di litio nel cervello.
Dunque, una carenza di litio potrebbe essere un fattore scatenante dell'Alzheimer e terapie a basso dosaggio a base di litio potrebbero rappresentare una valida strategia di trattamento.
Non è un’ipotesi che non nasce dal nulla: infatti, numerosi studi precedenti hanno già esplorato la relazione tra litio e Alzheimer.
Per esempio, una ricerca del 2022 a cura di un team di studiosi dell'Università di Cambridge ha rilevato che le persone a cui era stato prescritto litio avevano un rischio quasi dimezzato di sviluppare demenza rispetto a chi non lo assumeva.
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Un altro studio, pubblicato l'anno scorso, ha mostrato un'associazione tra la presenza di litio nell'acqua potabile e una diminuzione del rischio di demenza.
Si tratta di evidenze che convergono nel dipingere un quadro promettente per il futuro del trattamento dell'Alzheimer, aprendo nuove strade per la ricerca e la terapia.
Il dettaglio dello studio
Analizzando i cervelli di 285 persone decedute, i ricercatori hanno scoperto una correlazione significativa tra i livelli di litio e la gravità del declino cognitivo.
I cervelli di chi era affetto da Alzheimer avevano circa il 36% in meno di litio nella corteccia prefrontale rispetto a quelli di persone sane; anche in chi mostrava un lieve deterioramento cognitivo, precursore della malattia, i livelli erano ridotti di circa il 23%.
Secondo Yankner questa carenza iniziale potrebbe derivare da una combinazione di fattori ambientali e genetici, ma a c'è di più: con il progredire della malattia, il litio si lega e si accumula nelle placche amiloidi, rendendolo ancora meno disponibile per il corretto funzionamento cerebrale, e nelle aree del cervello colpite da Alzheimer le placche contenevano quasi tre volte più litio rispetto alle altre regioni.
Per approfondire il team ha condotto un esperimento su topi geneticamente modificati per sviluppare sintomi simili all'Alzheimer, riducendo drasticamente la loro assunzione di litio.
Dopo otto mesi questi animali mostravano un significativo calo della memoria rispetto a quelli con una dieta normale: per esempio, impiegavano dieci secondi in più per completare un labirinto acquatico e i loro cervelli presentavano anche quasi il doppio e mezzo di placche amiloidi.
Le analisi genetiche hanno rivelato che la carenza di litio nei topi aumentava l'attività di geni legati alla neurodegenerazione, provocando infiammazione cerebrale e riducendo la capacità delle cellule immunitarie di eliminare le placche, un insieme di alterazioni riscontrate anche nelle persone con Alzheimer.
Prospettive per il futuro del morbo di Alzheimer
Secondo i ricercatori, misurare i livelli di litio potrebbe diventare uno strumento prezioso per i medici, consentendo di individuare i segnali dell'Alzheimer anni prima della comparsa dei sintomi.
Questa possibilità apre nuove strade per intervenire tempestivamente, quando le terapie avrebbero maggiori probabilità di successo; Yankner ha suggerito diverse vie per realizzare questa misurazione, tra cui l'analisi del liquido cerebrospinale, del sangue o attraverso l'uso di tecniche di imaging cerebrale.
Attualmente alte dosi di litio sono usate per trattare disturbi psichiatrici come il disturbo bipolare, ma possono causare effetti collaterali pesanti.
Le dosi utilizzate in questo studio sui topi, però, erano circa mille volte inferiori, e non hanno mostrato segni di tossicità.
Ciò che rende l'orotato di litio particolarmente promettente, infatti, come sottolinea il ricercatore Yankner, è la ridotta quantità necessaria per ottenere risultati; si tratta di un fattore cruciale, poiché potrebbe diminuire drasticamente il rischio di effetti collaterali negativi, come problemi ai reni e alla tiroide, che spesso limitano l'uso di altre forme di litio.
Oltre al suo potenziale nel contrastare l'Alzheimer, Yankner e il suo team stanno esplorando le possibili applicazioni dell'orotato di litio anche per il trattamento del morbo di Parkinson.
"È un campo che va studiato rigorosamente," afferma Yankner, "ma stiamo esaminando un ampio spettro di disturbi".
Dunque, nonostante l'ottimismo, sono necessari studi clinici sull'uomo per confermare l'efficacia e la sicurezza del trattamento.
Fonti:
- Nature - Lithium deficiency and the onset of Alzheimer’s disease;
- PLoS Med - Association between lithium use and the incidence of dementia and its subtypes: A retrospective cohort study;
- International Journal of Bipolar Disorders - Trace lithium levels in drinking water and risk of dementia: a systematic review.