Per anni la cosiddetta “crisi di mezza età” è stata considerata una tappa quasi inevitabile: un momento in cui, attorno ai 45/50 anni, preoccupazioni, stress e una sensazione di insoddisfazione raggiungono il loro culmine, per poi progressivamente attenuarsi con l’avanzare dell’età. Oggi, però, questo schema sembra essersi incrinato.
Un recente studio indica che quel “picco di infelicità” potrebbe essere ormai un ricordo del passato: analizzando i dati raccolti in diversi Paesi, gli studiosi hanno osservato che la curva del benessere – tendenzialmente rappresentata come una “U” – si è appiattita. In altre parole, il disagio emotivo non tocca più il suo punto massimo nella mezza età, ma tende piuttosto a manifestarsi in misura maggiore tra i più giovani.
Scopriamo come.
La curva si è invertita
Negli ultimi anni, come detto, la curva ha iniziato a mutare: i dati raccolti indicano che il benessere tra i giovani è in netto calo, e che il tradizionale “punto di crisi” della mezza età tende a scomparire.
Per comprendere meglio il fenomeno, i ricercatori hanno analizzato una mole imponente di dati: oltre 10 milioni di interviste condotte tra il 1993 e il 2024 dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti, e i risultati di un’indagine su 40.000 famiglie britanniche raccolti tra il 2009 e il 2023.
Dall’analisi emerge che, in entrambi i Paesi, la sensazione di infelicità tende oggi a diminuire con l’età. Non si osservano più differenze significative nei livelli di stress, agitazione o depressione tra i quarantenni e i cinquantenni.
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Per verificare se questa tendenza fosse generalizzabile, gli studiosi hanno poi esteso l’analisi a quasi due milioni di persone in 44 Paesi, grazie al progetto internazionale Global Mind, attivo tra il 2020 e il 2025. Anche in questo caso, la conclusione è stata la stessa: il “momento di crisi” sembra scomparso a livello mondiale.
Le motivazioni
Le ragioni di questo cambio di paradigma non sono ancora del tutto chiare, ma gli autori dello studio avanzano diverse ipotesi, tra cui:
- le conseguenze a lungo termine della crisi economica del 2008, che ha reso più difficile per le nuove generazioni costruirsi una stabilità economica e professionale;
- la riduzione dei fondi destinati alla salute mentale, in molti Paesi ancora insufficienti a coprire i bisogni reali;
- gli effetti della pandemia da COVID-19, che ha lasciato una scia di isolamento e incertezza;
- l’impatto dei social media, spesso associati a stress, confronti continui e distorsioni della percezione di sé.
“Il nostro – spiegano gli autori – è il primo studio a documentare un declino della salute mentale tra i giovani negli ultimi anni. Oggi il disagio mentale è più elevato durante la giovinezza e tende a ridursi con l’età: si tratta di un cambiamento profondo rispetto al passato, quando la curva raggiungeva il suo apice nella mezza età. Le ragioni restano oggetto di dibattito, ma ciò che appare chiaro è la necessità urgente di affrontare la crisi di salute mentale che colpisce le nuove generazioni”.
In sintesi, il “picco dell’infelicità” che un tempo caratterizzava la mezza età sembra essersi dissolto, ma non perché le persone siano diventate più felici nel tempo: è piuttosto il livello generale di benessere psicologico a essersi spostato verso il basso tra i più giovani.
Questa trasformazione, osservata su scala globale, apre una riflessione cruciale: non si tratta più di comprendere come superare una crisi di metà vita, ma di capire come restituire ai giovani strumenti e condizioni per vivere con maggiore equilibrio e fiducia.
Fonti:
Plos One – The declining mental health of the young and the global disappearance of the unhappiness hump shape in age