Alloggio, ma non vitto

Dr.ssa Elisabetta Ciccolella Farmacista
Redatto scientificamente da Dr.ssa Elisabetta Ciccolella, Farmacista |
A cura di Ezia Campise

Data articolo – 25 Giugno, 2012

Indice del contenuto

In ospedale il vitto si chiama così perché ne siamo tutti vittime. Tuttavia, benché i pasti non siano l’estasi del palato, né del malato, sono offesi oltre le loro responsabilità. Il fatto è che sfogarsi contro un petto di pollo lesso o contro le zucchine tribolate dà un gusto impagabile ai ricoverati, che di sfogarsi e di prendersela con qualcuno hanno tanto bisogno, anzi fame. E cosa c’è di meglio se non una pasta scotta al punto giusto per questo tiro al bersaglio? Questo è accanimento dietetico! – disse una volta un compagno di fratture davanti all’ennesimo boccone amaro. E tutti risero di gusto, insieme. Il convivio è una sana abitudine, anche per chi non è sano. Anzi, per limare quegli spigoli di estraneità e per unirsi in una terapeutica amicizia tra degenti, il puré dell’ospedale è un mastice perfetto. Le corsie dei nosocomi, alle ore 12, sono il proscenio ideale per dire alla platea – Cosa ci avranno preparato oggi, i 4 salti in barella?– ricreando lo spirito comune con uno dei mali minori dell’ospedale. Ricordiamo un principio fondamentale: quando si sta male, tutto quello che non si mangia fa bene, ma non si può nemmeno digiunare per tutto il ricovero. Cosa fare allora? In ospedale non si ha il conforto tattile di una carezza al gatto, la confidenza degli odori di casa, la famigliarità dei suoni e dei rumori, la rassicurazione dello sguardi che osserva un oggetto amico. Il gusto è il solo senso che potete traslocare in ospedale. Fatevi portare qualcosa di buono da casa (di legale s’intende), se non potete averla intorno, almeno ne potrete sentire il sapore.

Fabrizio Blini è uno scrittore italiano, autore del libro “Storie di ordinaria corsia”

Ultimo aggiornamento – 15 Febbraio, 2021

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