Gli interventi di mastoplastica sono sempre più diffusi e per questo motivo sono molte le donne che si chiedono se si può allattare con il seno rifatto. Andiamo alla scoperta del legame che intercorre tra mastoplastica e allattamento e di cosa è importante conoscere.
Chi ha il seno rifatto può allattare al seno?
L'allattamento al seno viene raccomandato dall'OMS almeno fino all’anno di età del neonato, in virtù dei numerosi benefici che il latte materno apporta sia al bambino che alla mamma.
Negli ultimi anni, però, sono sempre più diffusi gli interventi di chirurgia plastica che riguardano proprio questa parte del corpo, tanto che sono in molti a chiedersi se le le donne con il seno rifatto possono allattare oppure se questa operazione comporta dei rischi o un'impossibilità a nutrire il proprio figlio senza utilizzare la formula artificiale.
Occorre tenere presente, infatti, che se prima la mastoplastica era un intervento che veniva eseguito abbastanza avanti con l'età (spesso in seguito a una o più gravidanze), oggi essa viene effettuata anche da pazienti molto giovani, le quali sono ancora lontane dall'avere una gestazione e per questo motivo i dubbi legati all'impianto di protesi al seno e allattamento appaiono fondati.
In linea generale, si può allattare con il seno rifatto tuttavia molto dipende da quale tipologia di operazione viene eseguita sulla donna e sulle sue finalità.
La mastoplastica additiva, ovvero il trattamento chirurgico che prevede l'incisione della pelle e il conseguente inserimento di protesi per aumentare la dimensione dei seni, è solitamente compatibile con l'allattamento naturale, in quanto vi sono meno rischi di danneggiare la ghiandola mammaria rispetto all'intervento opposto, ovvero la mastoplastica riduttiva.
In questo caso allattare con il seno rifatto può rivelarsi molto più complicato (se non addirittura impossibile), visto che le ghiandole mammarie vengono in parte asportate e rimaneggiate. Per questo motivo è consigliabile riflettere con attenzione circa la tipologia di operazione a cui si intende sottoposi e confrontarsi apertamente con il proprio professionista di riferimento.
Mastoplastica additiva e allattamento: cosa sapere
L'intervento di mastoplastica additiva è, nella maggior parte dei casi, compatibile con l'allattamento al seno visto che l'impianto delle protesi in silicone non interferisce con gli stimoli ormonali responsabili della produzione di latte. Le incisioni che vengono effettuate, infatti, non pregiudicano i dotti mammari attraverso i quali fluisce il latte, pertanto allattare con le protesi è generalmente possibile.
Gli impianti mammari vengono posizionati tra la ghiandola mammaria e il muscolo pettorale, in modo da non compromettere l’allattamento. Il medico presta attenzione a rispettare l'anatomia della zona pettorale e non interviene nell'area di connessione tra la ghiandola mammaria e il capezzolo, così da mantenere intatta la capacità della madre di produrre il latte.
Per quanto riguarda la possibile presenza di silicone all'interno dei dotti, si tratta di un'eventualità praticamente impossibile, tuttavia si consiglia comunque di effettuare un'ecografia al seno o una risonanza magnetica ai seni per verificare lo stato di conservazione delle protesi.
Solamente in casi molto rari le incisioni praticate intorno all'areola possono rendere impraticabile l'allattamento con protesi al seno; spesso ciò è dovuto all'inserimento di protesi sproporzionate (perché eccessivamente grandi) che possono provocare una compressione della ghiandola mammaria e una difficoltà nel portare avanti l'allattamento.
Allattamento con seno rifatto: come avviarlo al meglio
Allattare con seno rifatto sfruttando la tecnica della mastoplastica additiva è possibile, tuttavia potrebbe richiedere qualche accortezza in più rispetto a chi non ha subito questo genere di operazione.
Ecco alcuni consigli da mettere in pratica per fare in modo che il percorso sia il più privo di ostacoli possibile:
- optare per protesi mammarie che siano adeguate alla propria conformazione fisica, senza esagerare con il volume o il rischio è che un impianto eccessivamente grande possa andare a comprimere il dotto galattofori ostacolando la fuoriuscita del latte;
- avvertire il chirurgo che eseguirà l'operazione della propria intenzione, in un futuro breve o lontano che sia, di praticare l'allattamento naturale;
- prima di allattare con protesi sottoporsi a un'ecografia per controllare lo stato di conservazione e di usura delle protesi;
- dopo l'operazione chirurgica, massaggiare i capezzoli in modo da restituire loro la sensibilità;
- non pensare di essere maggiormente a rischio di sviluppare mastite solo perché si ha il seno rifatto, ma rispettare comunque tutte le indicazioni utili volte a scongiurare la comparsa dell'infiammazione;
- attendere almeno sei mesi dopo un intervento di mastoplastica additiva prima di allattare al seno ( prima di avere una gravidanza, perché le modificazioni della ghiandola mammaria arrivano sin dai primi mesi di gravidanza);
- aspettare dai tre ai sei mesi dopo il termine dell'allattamento al seno prima di sottoporsi a un'operazione in quest'area del corpo, in quanto la zona necessita di essere guarita interamente prima di essere incisa chirurgicamente.
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Se è vero che si può allattare con le protesi maggiorative, lo stesso percorso può non essere possibile (o può rivelarsi più difficoltoso del previsto) per chi ha subito un'operazione di mastoplastica riduttiva o se il chirurgo per inserire gli impianti ha dovuto incidere i dotti galattofori.
Anche chi ha subito un'operazione di mastopessi, ovvero la procedura finalizzata a "risollevare" il seno, potrebbe avere dei problemi ad allattare in quanto in questo caso il medico deve eseguire un'incisione periareolare e altre con andamento verticale o orizzontale che possono compromettere la capacità di produrre latte in futuro.
Per questo motivo in genere si consiglia di attendere la fine dell'allattamento prima di intervenire con la mastopessi o con la mastoplastica riduttiva, le quali prevedono talvolta lo spostamento del capezzolo e dell'areola.
Tali parti anatomiche vengono infatti dapprima rimosse e poi reimpiantate, andando a determinare una perdita di sensibilità sulla zona del capezzolo e una compromissione della sua funzione nutritiva.