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Iperalgesia

Neurochirurgia Reumatologia
Visita neurologica durante la quale la neurologa testa la reazione agli stimoli all'altezza del ginocchio di una paziente

Cos’è l’iperalgesia e come si manifesta

In medicina, l’iperalgesia indica una risposta esasperata a stimoli dolorosi – il termine deriva dal greco: hyper (eccessivo) e algos (dolore).

Questa condizione può colpire qualsiasi parte del corpo e manifestarsi in modo costante oppure episodico. Chi ne soffre descrive spesso dolori brucianti, pungenti o lancinanti anche dopo stimoli minimi, come una leggera pressione, il contatto con i vestiti o una carezza.

In altri casi, il dolore può persistere di molto oltre la durata dello stimolo, quasi come se fosse impresso nel sistema nervoso.

È possibile distinguere quattro forme principali di iperalgesia:

  • iperalgesia primaria: si manifesta nella sede del danno tissutale, per esempio dopo una ferita, un’ustione o un intervento chirurgico. È legata a un’iperattivazione dei recettori del dolore nella zona lesa;
  • iperalgesia secondaria: compare nelle aree circostanti, non direttamente coinvolte dalla lesione iniziale. Qui entra in gioco il sistema nervoso centrale, che può diventare “ipervigilante” e trasmettere segnali dolorosi in modo alterato;
  • iperalgesia indotta da oppiacei: in alcuni casi, l’uso prolungato di morfina o altri farmaci simili può innescare un aumento della percezione del dolore. Si va ad innescare una vera e propria sensibilizzazione del sistema nervoso centrale. I meccanismi non sono ancora del tutto chiari, ma coinvolgono il recettore NMDA, l'attivazione di citochine infiammatorie e una ridotta inibizione del dolore a livello del midollo spinale. Il paziente, invece di trovare sollievo, si sente più sofferente e questo porta spesso a un circolo vizioso di aumento del dosaggio e peggioramento della condizione;
  • iperalgesia centrale: questa forma nasce da un malfunzionamento del sistema nervoso centrale (midollo spinale, cervello). Non è legata alla presenza di una lesione visibile, ma a una sensibilizzazione centrale: il cervello interpreta in modo alterato gli stimoli, anche lievi, trasformandoli in dolore intenso. È molto comune nelle sindromi da dolore cronico, nella fibromialgia, nella sindrome del dolore regionale complesso (CRPS) e in alcune forme di emicrania cronica.
Quando si è sottoposti a stimoli dolorosi prolungati, anche il cervello cambia struttura e funzionamento: alcune aree si attivano anche in assenza di stimoli fisici, come se il dolore avesse preso residenza nella mente.

L’iperalgesia, così come il dolore cronico, sono condizioni neuroplastiche che modificano il modo in cui il cervello interpreta il mondo.

Quali sono le cause dell’iperalgesia?

Non esiste una sola causa dell’iperalgesia, ma può derivare da molteplici condizioni, sia acute che croniche, neurologiche o infiammatorie.

Tra le principali:

  • traumi e interventi chirurgici;
  • neuropatie: come nel caso del diabete o dell’herpes zoster;
  • malattie autoimmuni: ad esempio il lupus o la fibromialgia;
  • patologie oncologiche: spesso associate a trattamenti intensivi;
  • uso prolungato di oppioidi.
È importante distinguere l’iperalgesia dal concetto di allodinia, ovvero la percezione dolorosa di stimoli normalmente innocui (come il tocco di una piuma). Le due condizioni spesso coesistono, ma non sono sovrapponibili.

Iperalgesia: la diagnosi

Diagnosticare l’iperalgesia non è semplice, dal momento che non esiste un esame di laboratorio che la rilevi con certezza ed è un’ipotesi diagnostica basata su quanto riportato dal paziente.

La valutazione si basa su:

  • raccolta accurata della storia clinica;
  • esame obiettivo con test di stimolazione tattile, termica o meccanica;
  • valutazione neuropsicologica, quando il dolore ha un impatto sul tono dell’umore o sul comportamento.
In alcuni centri specializzati si utilizzano strumenti di quantitative sensory testing (QST) per valutare la soglia del dolore in modo standardizzato. Aanche questi dati, però, vanno sempre letti nel contesto del vissuto soggettivo del paziente.

Come trattare l’iperalgesia?

L’approccio verso l’iperalgesia richiede un approccio multidisciplinare, spesso lungo e personalizzato.

Farmaci

  • antidepressivi triciclici (come l’amitriptilina) e inibitori della ricaptazione della serotonina-noradrenalina (es. duloxetina) possono modulare il dolore centrale;
  • anticonvulsivanti come pregabalin e gabapentin sono utili nei casi con componente neuropatica;
  • antinfiammatori non steroidei (FANS) o corticosteroidi hanno efficacia limitata e a breve termine;
  • nei casi di iperalgesia indotta da oppiacei, la sospensione graduale del farmaco è spesso necessaria, talvolta associata a farmaci come la ketamina o gli antagonisti del recettore NMDA.

Terapie non farmacologiche

  • fisioterapia mirata, con tecniche di desensibilizzazione;
  • mindfulness e terapia cognitivo-comportamentale, per migliorare la gestione della sofferenza;
  • stimolazione elettrica transcutanea (TENS) o tecniche di neuromodulazione;
  • biofeedback e tecniche di rilassamento muscolare profondo.

Ruolo dello stile di vita

Un’alimentazione antinfiammatoria, un buon ritmo sonno-veglia, attività fisica moderata e regolare possono contribuire, nel lungo periodo, a diminuire la sensibilizzazione centrale. Anche la qualità delle relazioni e la percezione di controllo sulla propria condizione fanno una grande differenza.
Dr. Christian Raddato Medico Chirurgo
Dr. Christian Raddato
medico generale

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