Positività tossica: come interferisce con il percorso di consapevolezza di sé

Federica Carbone | Autrice

Ultimo aggiornamento – 03 Luglio, 2024

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È la dose che fa il veleno. Questo è ciò che ci ha insegnato Paracelso, il medico svizzero a cui è attribuita questa frase. Ciò che intendeva dire è che tutto può essere velenoso se preso in quantità eccessiva: anche la positività. 


Cos'è la positività tossica?

La persona positiva, secondo la Treccani, è colei “che ha il senso della realtà, che bada soprattutto ai fatti, a ciò che ha consistenza e concretezza, e non si perde in chiacchiere e in fantasticherie né si lascia da queste allettare”. 

Non esattamente ciò che avrei detto io se me lo avessero chiesto. 

Nel linguaggio comune le persone positive sono quelle che guardano sempre al lato ottimista della vita, contrapposte alle persone negative che invece si lamentano e si focalizzano, naturalmente, su ciò che non va. 

Quindi più che positive e negative, si dovrebbe parlare (forse) di persone ottimiste e pessimiste. Vediamo dove si colloca la positività tossica in tutto questo.

Il modo di dire è relativamente recente, inizia ad essere usato attorno agli anni ’80. Descrive l'eccessiva e irrealistica enfasi su una mentalità che minimizza, nega o invalida emozioni autentiche e difficili. 

Questo fenomeno si manifesta quando si impone il pensiero positivo a tutti i costi, ignorando la complessità delle esperienze umane e la necessità di affrontare anche gli aspetti spiacevoli della vita. 

Ma da dove deriva questa tendenza e come è diventata così pervasiva?

Storicamente, l'enfasi sulla positività ha radici in un movimento iniziato alla fine del 19esimo secolo che univa idee prese a prestito dalla psicologia, religione e esoterismo conosciuta come New Thought

Il motto era “Accentuate the positive and eliminate the negative” (accentua il positivo e elimina il negativo) uno slogan talmente aspirazionale da diventare una canzone nel 1944, cantata da Bing Crosby. 

La cultura dell'autoaiuto e dello sviluppo personale, che hanno guadagnato popolarità negli Stati Uniti a partire dagli anni '50 e '60 hanno ripreso e dato nuovo slancio al tema. L'idea che il pensiero positivo possa influenzare il successo personale e la felicità è stata promossa da figure come Norman Vincent Peale, autore del famoso libro "The Power of Positive Thinking". 

Questo movimento ha suggerito che mantenere un atteggiamento positivo potesse portare a miglioramenti tangibili nella vita delle persone, dal successo professionale alla salute mentale e fisica; di cui il potere della manifestazione è uno degli ultimi sviluppi.

Negli anni successivi, questa filosofia è stata ulteriormente amplificata dai media, dai social network e dalla cultura popolare, evolvendosi fino a diventare una sorta di mantra moderno. Tuttavia, questa evoluzione ha portato anche a un'interpretazione distorta e semplificata del pensiero positivo, dando origine a quella che oggi conosciamo come positività tossica. 

Invece di promuovere un equilibrio sano tra il riconoscimento delle difficoltà e la speranza di superarle, la positività tossica impone un ottimismo forzato che può essere dannoso e controproducente.

L'imposizione di una visione esclusivamente positiva non solo invalida le esperienze negative, ma può anche creare un senso di colpa e inadeguatezza in coloro che non riescono a mantenere un atteggiamento costantemente ottimista. 

Questo, a sua volta, ostacola il percorso di consapevolezza, impedendo alle persone di riconoscere e affrontare i propri veri sentimenti e le sfide reali. 

Le differenze tra positività tossica e incoraggiamento

Prima di interpellare l’incoraggiamento è il caso di introdurre l’ottimismo, che è il vero contrario della positività tossica, ovvero l’atteggiamento mentale grazie al quale si tende a vedere e giudicare gli eventi nella loro luce più favorevole.

Le persone ottimiste sono inclini a concentrarsi sugli aspetti positivi delle situazioni e a credere che, nonostante le difficoltà, le cose andranno per il meglio. Questo non significa ignorare o negare i problemi, ma mantenere una speranza realistica e una fiducia nel fatto che le difficoltà possono essere superate attraverso sforzi e adattamento.

L'ottimismo autentico accetta e riconosce la realtà delle situazioni negative, permettendo alle persone di affrontare i problemi con una mentalità costruttiva

La positività tossica, al contrario, implica l'imposizione di una felicità forzata, negando o minimizzando le emozioni difficili. 

Questo tipo di positività può portare a un rifiuto delle esperienze dolorose e a un'invalidazione dei sentimenti autentici, creando un ambiente in cui le persone si sentono obbligate a essere felici a tutti i costi. È il dovere della felicità.

Se cadiamo nella positività tossica è principalmente perché la confondiamo con l'incoraggiamento, ma non può esistere incoraggiamento genuino senza il riconoscimento delle difficoltà, delle emozioni spiacevoli e dell’esperienza umana della sofferenza. 

Nel tentativo di incoraggiare qualcuno, può capitare a chiunque di spingere verso la positività a tutti i costi, negando o minimizzando le loro esperienze negative.

Esempio 1:

Situazione: Un amico ha appena perso il lavoro e si sente abbattuto.

Positività tossica: "Non preoccuparti, tutto succede per una ragione! Stai tranquillo, presto troverai qualcosa di meglio."

Risposta incoraggiante: "È dura, ed è normale sentirsi giù. Io sono qui se hai bisogno, non sei solo e sono sicuro che con il tempo/la tua professionalità/il tuo impegno troverai nuove opportunità."

Esempio 2:

Situazione: Una persona sta attraversando una rottura dolorosa.

Positività tossica: "Sii felice che uno così è meglio perderlo che trovarlo! Troverai qualcuno di meglio."

Risposta incoraggiante: "Mi dispiace per quello che stai passando. Prenditi il tempo di elaborare i tuoi sentimenti senza fretta, quando sarà arrivato il momento, volterai pagina. Intanto se hai bisogno sai che ci sono sempre. "

In entrambi gli esempi, la risposta di positività tossica ignora le emozioni negative e impone un'aspettativa di felicità immediata, mentre la risposta di incoraggiamento riconosce e valida i sentimenti della persona, offre supporto e speranza, e non nega la realtà delle difficoltà. 

Effetti della positività tossica sulla tua salute mentale

Ain't got no place to lay your head

Non hai un posto sul quale poggiare la testa

Somebody came and took your bed

Qualcuno è venuto e ha preso il tuo letto

Don't worry, be happy.

Non preoccuparti, sii felice.

The landlord say your rent is late

Il proprietario di casa dice che sei in ritardo con l’affitto

He may have to litigate

Potrebbe dover fare causa

Don't worry, be happy.

Non preoccuparti, sii felice.

Questo inno alla felicità sempre e comunque, nonostante tutto è stato in classifica nella Billboard Hot100 nel 1988, e ci rimase per due settimane. Il cantautore si ispirò a un’espressione del maestro spirituale indiano Meher Baba.

Il messaggio all’epoca venne associato addirittura ad una filosofia racchiusa in quattro parole, che però in uno schiocco di dita si è diffusa a macchia d’olio diventando una fede, quasi cieca, nel potere della forza di volontà di imporsi su ogni ambito di vita umana.

Nessuno poteva immaginare che la positività tossica potesse avere numerosi effetti collaterali negativi sulla salute mentale:

  1. Svalutazione delle emozioni negative: minimizzando o ignorando le emozioni negative, la positività tossica porta le persone a sentirsi inadeguate o colpevoli per il solo fatto di provarle; il che impedisce l'elaborazione sana di sentimenti come tristezza, rabbia o paura, che sono parte integrante dell'esperienza umana.
  2. Incremento del monitoraggio interno: questo aspetto favorisce, tra l’altro i pensieri intrusivi e il controllo su ciò che si sta provando. Pensieri ed emozioni però non si possono controllare, si possono solo sperimentare. L’illusione di poter scegliere cosa sentire o meno, sulla base di un giudizio morale, è la ricetta per il fallimento assicurato.
  3. Isolamento emotivo: sentirsi obbligati a mostrare una facciata positiva, porta a nascondere i propri reali sentimenti agli altri. Questo isolamento emotivo riduce il supporto sociale e aumenta il senso di solitudine e alienazione.
  4. Aumento dello stress e dell'ansia: la pressione di dover essere sempre felici e positivi può innalzare i livelli di stress e ansia. Inoltre, l'incapacità di esprimere autenticamente le proprie emozioni può creare una tensione interna costante e un senso di disagio.
  5. Soppressione emotiva: la positività tossica incoraggia la soppressione delle emozioni negative, che non scompaiono semplicemente ignorandole. Queste emozioni represse finiranno per accumularsi e manifestarsi in modi potenzialmente problematici, come esplosioni di rabbia, tristezza, somatizzazioni della psiche sul corpo.
  6. Intralcio alla crescita personale: per evolvere come essere umani bisogna affrontare e superare le difficoltà, ma la positività tossica ostacola questo processo. Impedisce, infatti, alle persone di imparare dalle loro esperienze negative e di sviluppare strategie di coping efficaci.
  7. Riduzione dell'empatia: quando si promuove la positività tossica, si rischia di diventare meno empatici verso le esperienze degli altri, perché si smette di indagare gli stati emotivi, si offrono solo soluzioni pseudo-universali. Questo alla lunga può danneggiare le relazioni interpersonali e creare un ambiente in cui le persone non si sentono né comprese né supportate.

Tra le tante cose che il ricorso a questa modalità di approcciare la vita ha provocato, c’è l’associazione con il fattore rapidità. Se basta essere positivi per stare bene e avere successo e essere positivi è facile come dire ‘non voglio la negatività nella mia vita’ allora quello che voglio accadrà altrettanto facilmente e velocemente!

Ecco, no non è questo il caso, e accorgersene fa saltare il banco.  

Come la positività tossica ostacola la tua consapevolezza di sé

È chiaro a questo punto che la positività tossica ostacola la consapevolezza di sé e la crescita personale perché promuove un atteggiamento di negazione e repressione delle emozioni.

Quando si è costantemente esposti all'idea che felicità e positività siano un obbligo, si impara a sopprimere le emozioni percepite come negative, come tristezza, rabbia, ansia e frustrazione, preferendogli le emozioni percepite come positive come gioia, entusiasmo, coraggio, gratitudine. 


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Questa soppressione non solo impedisce di elaborare e affrontare queste emozioni in modo sano, ma crea anche una disconnessione interna, rendendo difficile per noi comprendere veramente chi siamo e come ci sentiamo. Non si può infatti decidere di silenziare solo alcuni canali emotivi, quando si censura un’emozione si interferisce con tutte le altre.

La consapevolezza di sé è un processo complesso che richiede l'esplorazione di tutte le nostre esperienze emotive, comprese quelle difficili; perché è solo attraverso il loro riconoscimento e la loro accettazione che si impara a gestirle efficacemente. 

Come già accennato questa dinamica può portare a una serie di conseguenze negative, giacché la repressione delle emozioni negative può accumularsi nel tempo, portando a esplosioni emotive improvvise o a manifestazioni fisiche dello stress represso, come mal di testa, problemi gastrointestinali o disturbi del sonno. 

La positività tossica può anche influire negativamente sulle nostre relazioni interpersonali. Chi si sente obbligato a mettere sempre su la maschera della positività perde in empatia e finisce per invalidare involontariamente i sentimenti di chi gli sta intorno. 

Perché questo accade? Perché guardare qualcuno che soffre risuona con la parte sofferente che si è scelto di non ascoltare e se si vuole continuare ad ignorarla bisogna spronare l’altro a rinnegarla a sua volta. Gli altri però potrebbero non essere disposti a sacrificare una parte così significativa del loro bagaglio umano e questo crea inevitabilmente una rottura: o con la persona o con la fede nella positività tossica.

Un altro modo in cui la positività tossica ostacola la consapevolezza di sé è attraverso la creazione di aspettative irrealistiche

Credere di dover essere sempre felici e ottimisti, porta a sentimenti di inadeguatezza o alla colpevolizzazione quando non si riesce a mantenere questo standard, e quando questo accade viene minata l’autostima e la fiducia in se stessi, rendendo ancora più difficile accettare e affrontare le nostre emozioni negative.

Il classico circolo vizioso.

La consapevolezza di sé richiede l'accettazione di tutte le proprie parti e l’essere pronti a stare nella scomodità. Essere costantemente spinti a ignorare queste parti di noi stessi, ci priva dell'opportunità di conoscerci veramente e di crescere come individui completi e autentici.

Segnali di positività tossica: come riconoscerla nella tua vita

La stragrande maggioranza delle persone non sa cosa sia la positività tossica, l’hanno semplicemente imparata perché dall’America è arrivata in Italia e dal dopoguerra in poi non se n’è più andata. Molto probabilmente non sanno neppure riconoscere quando la stanno usando o quando qualcuno gliela sta proponendo.

Riconoscerla invece è importante, ad esempio, un classico segnale è quando si minimizzano le emozioni negative con frasi come "Stai sereno!" o "Non ci pensare, andrà tutto bene." Queste affermazioni, pur sembrando incoraggianti, suonano più che altro invalidanti. L’invalidazione dipende dal fatto che sono frasi fatte, ripetute a chiunque, in qualsiasi occasione, un po’ come quando alla domanda ‘come stai?’ si risponde che va tutto bene, ma non ci si presta davvero attenzione perché è più che altro un modo di rispondere di getto.

Un altro segnale è quello di sentirsi in colpa o vergognarsi quando si provano emozioni negative. Ad esempio, se ci si sente ansiosi o tristi e immediatamente dopo ci si giudica per non essere abbastanza "forti" o "positivi".

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Anche nelle conversazioni quotidiane può emergere questo aspetto tossico della positività. Ecco un altro esempio: condividendo un problema con un amico la sua risposta è qualcosa come "Almeno hai… [inserisci qualsiasi cosa]" o "Potrebbe andare peggio, dovresti essere grato" invece di ascoltare l’altro e validarne i sentimenti. 

Un ulteriore indicatore è la tendenza a evitare discussioni su argomenti difficili o emozioni negative, sia nelle relazioni personali che professionali. Se in un ambiente di lavoro i problemi o le preoccupazioni vengono costantemente ignorati o minimizzati con un "Manteniamo un atteggiamento positivo," si sta promuovendo un ambiente di positività tossica.

Questa può anche manifestarsi anche internamente, perciò quando ci si accorge di cercare di sorridere e mostrarsi felice anche quando non c’è niente di cui sorridere o essere felici, o si cerca evitare costantemente di affrontare situazioni difficili potrebbe essere il caso di chiedersi se quell’atteggiamento appreso di positività non sta diventando piuttosto soffocante.

A questo proposito notare la reazione delle persone che si frequentano può essere illuminante. Se gli altri si sentono insicuri nel condividere le loro difficoltà perché temono una risposta minimizzante, questo è un segnale che potrebbe esserci bisogno di rivedere la propria comunicazione a partire, magari, dall’ascolto.

Strategie efficaci per contrastare la positività tossica

Contrastare la positività tossica non significa colpevolizzare chi la pratica, tutti lo fanno, ma piuttosto aprire gli occhi sul fatto che siamo cresciuti in una cultura che spesso la promuove. Fortunatamente, può imparare a riconoscerla e a cambiare rotta verso una consapevolezza emotiva più autentica e salutare.

Ecco alcune strategie efficaci e scientificamente validate per contrastare il dovere alla felicità a tutti i costi:

  • Allenarsi alla complessità: imparare a vedere la realtà come qualcosa di complesso aiuta a smettere di semplificare e banalizzare le esperienze. Questo permette di abbracciare una visione più realistica e sfumata della vita, promuovendo una maggiore tolleranza per le ambiguità e le incertezze, e riducendo la necessità di ricorrere a un ottimismo forzato.
  • Esposizione alla frustrazione: analogamente alle tecniche utilizzate nella terapia cognitivo-comportamentale (CBT) per trattare le fobie, esporsi gradualmente alle situazioni che causano frustrazione può aiutare a sviluppare una maggiore tolleranza emotiva. Affrontare volontariamente situazioni frustranti, anziché evitarle, permette di costruire resilienza e di imparare a gestire meglio le emozioni negative.
  • Creare spazi di dialogo autentici: creare un ambiente di supporto emotivo che favorisca conversazioni aperte e oneste e incoraggi la condivisione delle esperienze negative senza giudizio, promuove la comprensione e il supporto reciproco. La ricerca stessa evidenzia l'importanza del supporto sociale nel mitigare gli effetti negativi dello stress e nel promuovere il benessere psicologico.
  • Praticare la mindfulness: la mindfulness è una pratica che aiuta a rimanere presenti nel momento e ad accettare le emozioni senza giudizio. La ricerca ha dimostrato che migliorare la regolazione emotiva e riduce la reattività, permettendo di affrontare le emozioni negative in modo più efficace e costruttivo.
  • Coltivare l'autocompassione: la pratica dell'autocompassione, come sviluppata da Kristin Neff, implica il trattarsi con la stessa gentilezza e comprensione che riserviamo agli altri. Invece di giudicarsi per avere emozioni negative, l'autocompassione ci incoraggia ad accettare queste emozioni come parte dell'esperienza umana. 

Adottare queste strategie non solo aiuta a contrastare la positività tossica e le sue conseguenze, ma promuove anche una cultura emotiva più rispettosa delle persone, che valorizza e accoglie l'intera gamma delle esperienze umane. 

Conclusioni

La positività tossica, sebbene nata da intenzioni apparentemente benevole, può avere effetti profondamente dannosi sulla salute mentale e sulla consapevolezza di sé.

Comprendere la differenza tra un incoraggiamento genuino e una positività forzata è essenziale per promuovere un ambiente emotivamente sano e autentico. 

Riconoscere i segnali della positività tossica nella propria vita e adottare strategie scientificamente validate per contrastarla può portare a una maggiore resilienza emotiva e a relazioni interpersonali più genuine e comprensive.

Abbracciando la complessità delle emozioni umane, possiamo favorire la crescita personale, un benessere duraturo e anche una migliore comunicazione con chi ci circonda.

Federica Carbone | Autrice
Scritto da Federica Carbone | Autrice

Scrivo di salute mentale dal 2015 quando, per prima in Italia ho iniziato a parlare di guarigione dal disturbo borderline di personalità come ex paziente. Questo mi ha permesso di attirare l'attenzione dei professionisti che mi hanno invitata a portare la mia testimonianza in giro per il Paese.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Federica Carbone | Autrice
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