Perché tanti uomini evitano i controlli medici? La risposta è culturale

Federica Ferrajoli | Psicologa

Ultimo aggiornamento – 31 Ottobre, 2025

Un uomo, visto di spalle, sta in piedi sulla riva di un lago al tramonto.

Quando si parla di salute emerge con chiarezza una differenza significativa: le persone socializzate come uomini, più delle donne, tendono a rimandare i controlli medici, spesso fino a quando i sintomi non diventano troppo evidenti o invalidanti.

Non si tratta semplicemente di disattenzione o mancanza di tempo: alla base c’è un nodo culturale e psicologico profondo, un modello di mascolinità che associa il valore dell’uomo alla forza, alla resistenza e alla capacità di “tenere duro”.

In questo schema, chiedere aiuto o occuparsi della propria salute può sembrare un segno di debolezza. Eppure, la vera fragilità non sta nel mostrarsi vulnerabili, ma nel rifiutare la possibilità di prevenire e curare. Prendersi cura di sé significa assumersene la responsabilità, e questo è un gesto di maturità, non di debolezza.

L’uomo che non deve mostrare debolezze

Per generazioni, l’identità maschile è stata costruita su un codice implicito: non lamentarsi, resistere, sopportare. Fin da bambini, molti maschi hanno ricevuto messaggi come “non piangere”, “fatti uomo”, “sii forte”, interiorizzando l’idea che vulnerabilità e valore personale siano incompatibili.

Questo modello culturale ha conseguenze importanti: molti uomini faticano a riconoscere i segnali del corpo e della mente, minimizzano dolori persistenti, stanchezza cronica, disturbi emotivi o sintomi che potrebbero essere campanelli d’allarme.

Non è solo paura del dolore o della malattia: spesso si tratta del timore di incrinare quell’immagine di forza su cui hanno costruito la propria identità.


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Rimandare diventa così una trappola. A livello sociale, può sembrare un gesto di coraggio, quasi un atto eroico di resistenza. Ma a livello psicologico ed esistenziale significa esporsi a rischi maggiori.

Non sapere appare meno doloroso che affrontare la possibilità di una diagnosi, ma questa illusione ha un costo altissimo: non solo per la salute fisica, ma anche per l’equilibrio psicologico e per le relazioni con gli altri.

In questo contesto, la “mascolinità tossica” non riguarda solo comportamenti aggressivi o dominanti: include anche la negazione di sé, l’idea che chiedere aiuto equivalga a perdere dignità. È una gabbia invisibile che riduce la libertà di scelta degli uomini e li espone a sofferenze evitabili.

Prevenzione come libertà, non come fragilità

Riconoscere e rompere questo schema culturale significa restituire agli uomini una possibilità di libertà. Prendersi cura di sé non è un atto di debolezza, ma un gesto di responsabilità verso la propria vita e verso chi ci sta accanto.

La prevenzione rappresenta una forma di autodeterminazione: significa scegliere consapevolmente di proteggersi, di ridurre i rischi, di vivere con maggiore serenità. È il contrario della passività: non subire gli eventi, ma assumere un ruolo attivo nel proprio benessere.

Molti uomini, però, portano dentro di sé modelli familiari che rafforzano la resistenza alla cura di sé. Padri o nonni che “non si facevano mai visitare” e che consideravano la malattia un tabù vengono ricordati come figure forti, ma oggi possiamo riconoscere quei comportamenti come limiti più che come virtù.

Replicare questi schemi significa rischiare di ripetere gli stessi errori, perpetuando un copione che non appartiene più alle necessità di oggi.

Primo piano di un uomo seduto su un divano con un'espressione pensierosa e preoccupata.

La cura di sé non è mai un gesto puramente individuale. Una persona che si prende cura della propria salute trasmette sicurezza e stabilità alle persone con cui condivide la vita: partner, figli, amici.

L’autotutela diventa così un atto relazionale e collettivo. Non prendersi cura di sé, al contrario, espone chi ci è vicino a paure, preoccupazioni e sofferenze evitabili.

Dal tabù alla scelta di cura

Il cambiamento possibile sta nel ribaltare la prospettiva. La visita medica, il controllo preventivo o il percorso psicologico non sono una resa, ma un atto di affermazione di sé: “Io scelgo di occuparmi di me”.

Ci sono strategie semplici che possono aiutare a rompere il tabù e ad avvicinarsi con più naturalezza ai controlli:

  • programmare controlli regolari come un appuntamento fisso, al pari di qualsiasi altra scadenza importante. Inserirli in agenda toglie spazio alla dimenticanza e riduce il peso psicologico della scelta;
  • parlarne apertamente con persone di fiducia, per normalizzare il gesto della prevenzione. Condividere le proprie paure e i propri dubbi permette di ridurre la vergogna e il senso di isolamento;
  • informarsi in modo chiaro e affidabile, evitando di farsi guidare da notizie frammentarie o allarmistiche. Conoscere ciò che si teme riduce l’ansia e restituisce senso di controllo.

Accettare la possibilità di avere limiti non riduce la forza, la arricchisce. La vulnerabilità non è il contrario del coraggio, ma la spinta che permette di affrontare la vita con maggiore consapevolezza.

È riconoscere che la salute non è infinita, che il corpo ha bisogno di attenzione, che la cura non è un ostacolo ma una risorsa.

Soffrire in silenzio non è la misura della forza di un uomo. Al contrario, il vero coraggio sta nel riconoscere i propri limiti, nel prendersi cura di sé prima che sia troppo tardi. Lasciare andare vecchie convinzioni – come l’idea che “chi si cura è debole” – significa aprire la strada a una salute più autentica, a una vita più piena, a relazioni più sane.

La prevenzione non è un atto di paura, ma di maturità. Non è un segnale di fragilità, ma un investimento di responsabilità verso se stessi e verso chi si ama.

La domanda, allora, non è se valga la pena fare un controllo, ma: cosa ti impedisce di farlo? Forse dietro quella resistenza si nasconde un copione che non ti appartiene più. E se la vera prova di coraggio fosse proprio quella di proteggere la tua vita, iniziando da un semplice gesto di cura?

Federica Ferrajoli | Psicologa
Scritto da Federica Ferrajoli | Psicologa

Psicologa Clinica, Sessuologa Clinica e Consulente di Coppia che si sta specializzando in Psicoterapia psicoanalitica. Nel mio lavoro clinico assume un ruolo prioritario l’impegno volto alla de-costruzione di un'eredità culturale disfunzionale per ricostruire intorno a sé un pianeta in cui sentirsi sicuri nella continua ricerca del proprio benessere.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Federica Ferrajoli | Psicologa
Federica Ferrajoli | Psicologa
in Mental health

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