La romanticizzazione dei disturbi mentali: una narrazione pericolosa

Federica Carbone | Autrice

Ultimo aggiornamento – 28 Ottobre, 2024

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Se c’è una cosa che sa far sognare anche quando non ce ne sarebbe proprio motivo è il romanticismo. Cenerentola ne sa qualcosa! Ma cosa ne sarebbe stato di lei senza la fata madrina, i topolini, la scarpetta di cristallo e tutta quella serie di fortunate coincidenze? Cosa succede quando a venire romanticizzata e idealizzata è la sofferenza?

Cosa significa romanticizzare un disturbo mentale

La romanticizzazione è quel processo attraverso cui qualcosa viene idealizzato o reso affascinante, anche quando si tratta di una condizione di sofferenza

Romanticizzare un disturbo mentale significa rappresentarlo come una caratteristica quasi poetica o seducente, trascurando la gravità dei sintomi e delle conseguenze reali che esso comporta. 

Nei film, nelle serie TV, nei libri e soprattutto sui social media, alcuni disturbi mentali sono spesso descritti in modo parziale o edulcorato. Disturbi come la depressione, l’ansia o il disturbo borderline di personalità (BPD) vengono talvolta raffigurati come segni distintivi di creatività, sensibilità o profondità emotiva. Personaggi tormentati e artisti sofferenti diventano icone, e il loro disagio viene interpretato come un elemento di fascino piuttosto che come una sfida dolorosa.

Dietro queste rappresentazioni idealizzate, però, c'è il rischio di perdere di vista la vera natura del disturbo mentale. 

La sofferenza diventa glamour, e con essa anche il rischio che qualcuno possa desiderare una condizione di disagio per aderire a questo immaginario romantico. Questa idealizzazione può portare a fraintendimenti gravi, inducendo le persone a pensare che i disturbi mentali siano solo sfumature della personalità, ignorando l’impatto debilitante che hanno sulla vita di chi ne soffre. Inoltre, chi vive con un disturbo mentale può sentirsi isolato o non capito, poiché la propria esperienza non rispecchia l'immagine proposta dalla cultura pop. D’altro canto, chi ha un disturbo mentale che viene improvvisamente messo al centro dei riflettori, potrebbe finalmente sentirsi visto e affezionarcisi al punto da avere ripercussioni sulla psicoterapia fino a sabotarla.

Ecco perché non esiste una romanticizzazione positiva, perché idealizzare la sofferenza psichiatrica la rende desiderabile, che non è affatto ciò che aiuterà poi nel percorso sia di guarigione che di destigmatizzazione.

L’impatto della romanticizzazione sulla salute mentale

Idealizzare i disturbi mentali non è solo una rappresentazione inaccurata, ma può avere conseguenze dirette sulla salute mentale delle persone. 

Quando una condizione di disagio viene rappresentata in modo superficiale o addirittura affascinante, si rischia di sottovalutare la serietà del problema. Chi soffre di disturbi mentali può sentirsi scoraggiato dal cercare aiuto, temendo di non essere preso sul serio o di essere visto come una persona in cerca di attenzione. Si sviluppa una pressione sociale: la sofferenza diventa un "accessorio" della personalità, un marchio distintivo che, secondo la narrativa romantica, dovrebbe essere vissuto con disinvoltura.

Questa non è attenzione verso la malattia mentale, non è sensibilizzazione, non è attivismo né advocacy. Senza contare che questa disinformazione danneggia anche chi non ha mai sofferto di problemi mentali, ma potrebbe averne in futuro. 

La difficoltà di riconoscere sintomi e segnali di disagio si amplifica quando questi sono stati narrati in modo romanzato. Di fronte a una sofferenza reale, c’è il rischio che le persone interpretino i propri sintomi come una semplice fase o addirittura come una manifestazione della propria "unicità" emotiva, senza considerare l’opzione di un aiuto professionale. 

La romanticizzazione crea quindi una cultura di disinformazione, che impedisce a chi soffre di sentirsi realmente capito, e a chi osserva di comprendere la realtà di queste condizioni che vengono banalizzate.

Disturbi mentali e cultura pop: tra idealizzazione e glamour

La cultura pop ha e ha avuto un ruolo nel modellare la percezione pubblica dei disturbi mentali. Un esempio? Un tempo nelle serie crime (ex-polizieschi), il malato mentale era sempre lo schizofrenico che non prendeva le medicine, e le motivazioni che si andavano cercando dietro le azioni del serial killer erano sempre psichiatriche.

Personaggi tormentati e ribelli sono stati, e continuano ad essere, associati a disturbi di personalità, depressione, ansia, rafforzando l’idea che il disagio psicologico sia una parte integrante della creatività e del genio. 

Anche i personaggi neurodivergenti, in particolare autistici, vengono quasi sempre rappresentati attraverso le stesse lenti, con atteggiamenti similari e sempre una componente di genialità.

Figure storiche come Vincent Van Gogh o Sylvia Plath sono spesso idealizzate come "artisti maledetti", insinuando che la loro genialità fosse legata alla sofferenza mentale.

Nei social media, l’effetto si amplifica. Piattaforme come Instagram e TikTok contribuiscono a diffondere contenuti in cui le diagnosi psichiatriche vengono rappresentati con immagini suggestive e citazioni poetiche, spesso accompagnate da musica malinconica. In questo modo, il dolore viene esteticamente confezionato per diventare un contenuto condivisibile, riducendo il disturbo mentale a una moda o a un trend. 

Se le intenzioni possono sembrare innocue, questa idealizzazione contribuisce a costruire un immaginario distorto, che confonde la gravità del disturbo con l’espressione di una personalità tormentata. 

Tra le conseguenze più comuni ci sono:

  • pensare che ogni manifestazione emotiva sia potenziale segnale di psicopatologia,
  • la convinzione che fare diagnosi psichiatrica sia una cosa facile,
  • credere che siamo un po’ tutti borderline/narcisisti/depressi/ansiosi/ossessivo compulsivi ecc.

Le condizioni più romanticizzate

TW: autolesionismo, suicidio.

Alcuni disturbi e neurodivergenze sono più spesso soggetti a romanticizzazione, con caratteristiche che possono risultare facilmente fraintendibili o idealizzabili. 

Il disturbo borderline di personalità è uno dei disturbi più spesso romanticizzati nei media, con una particolare enfasi sulle emozioni intense e l’instabilità relazionale. I personaggi borderline vengono rappresentati come individui carismatici e complessi, alle prese con forti passioni, gelosie, e un costante bisogno di attenzione. 

Questa idealizzazione, concentrata solo sulla drammaticità della personalità e come la persona appare esternamente, oscura la sofferenza interna e la difficoltà quotidiana di convivere con il disturbo.

Il disturbo narcisistico di personalità è spesso rappresentato come un mix di fascino manipolativo, autostima elevata e tendenza alla leadership, enfatizzando aspetti di potere e controllo. Tuttavia, la realtà del disturbo è più complessa e difficile. Le rappresentazioni idealizzate distorcono i reali sintomi del disturbo, che includono vulnerabilità, ansia da fallimento, difficoltà relazionali profonde e anche la possibilità di gravissime depressioni, autolesionismo e alta suicidalità.

La romanticizzazione, in questo caso, contribuisce a far sembrare le persone con questo disturbo semplicemente sicure di sé e capaci di esercitare un controllo sugli altri, ignorando la sofferenza e l’isolamento che sperimentano, e veicolando che la manipolazione sia indice sicuro di disturbo narcisistico quando non è neppure tra i criteri diagnostici.

Altra condizione associata al mito del “genio tormentato,” il disturbo bipolare viene rappresentato nei media come una condizione che rende le persone creative e intense. Questo stereotipo si riflette in numerosi prodotti di intrattenimento, dove i personaggi con disturbo bipolare vengono mostrati durante le fasi maniacali come particolarmente ispirati e produttivi, e nelle fasi depressive come figure malinconiche e profonde.

In realtà, il disturbo bipolare è caratterizzato da oscillazioni emotive che possono compromettere la vita quotidiana e necessitano di un trattamento continuativo.

Tra le condizioni più recenti c’è il disturbo ossessivo-compulsivo, spesso rappresentato come una serie di eccentriche abitudini legate all’ordine e alla pulizia. 

Nei media, si tende a ridurre l’OCD a comportamenti di controllo e simmetria, ignorando le vere ossessioni e compulsioni che possono rendere difficile anche le azioni più semplici. 

Questa narrazione minimizza l’intensità dell’ansia che le persone con OCD vivono e contribuisce alla percezione del disturbo come una “stranezza” caratteristica, piuttosto che come una condizione pesantemente debilitante.

Sebbene non sia un disturbo, l’autismo viene spesso romanticizzato come una “abilità speciale” o un elemento di genio in alcuni individui. In prodotti come Rain Man e The Good Doctor, i protagonisti con autismo presentano tratti distintivi che li rendono affascinanti e “unici”, ma queste rappresentazioni sono spesso stereotipate e non rappresentano la varietà delle esperienze nel funzionamento autistico.

La ricerca mostra come la rappresentazione idealizzata dell’autismo nei media crei un’immagine che ignora la varietà e complessità dell’esperienza autistica. Secondo un articolo pubblicato su Autism Research, queste rappresentazioni possono generare incomprensioni sulle reali sfide e difficoltà che molte persone autistiche affrontano ogni giorno.

Promuovere una rappresentazione più realistica e rispettosa

Introducendo il tema della romanticizzazione si rischia di incappare in persone che dicono ‘ma non si può più fare niente’, scomodando il politically correct. 

La questione è più sfaccettata rispetto al semplice o-così-o-niente.

La romanticizzazione va contrastata controbilanciandola, ossia promuovendo una rappresentazione dei disturbi mentali più rispettosa e realistica. Questo significa riconoscere la complessità di queste condizioni e non raccontare solo storie che nascondano la sofferenza o le difficoltà di chi ne è affetto.

ATTENZIONE! Non vale solo per cinema e serie, ma anche per la letteratura, la rappresentazione sui social media, in televisione e tutti i canali di comunicazione.

Ecco, quindi, alcune proposte per una narrazione più costruttiva:

  • Storie di speranza e recovery: anziché soffermarsi solo sul lato oscuro, è importante mostrare i percorsi di recupero, le storie di chi ha trovato modi per gestire il proprio disturbo e costruire una vita soddisfacente. Ritrarre i disturbi mentali come condizioni curabili aiuta a diffondere una visione di speranza e incoraggia chi soffre a chiedere aiuto.
  • Ruolo dei media e dei creator: chi lavora nel mondo dei media ha la responsabilità di educare e sensibilizzare. Ogni racconto ha il potenziale di influenzare le percezioni collettive, quindi, è cruciale evitare rappresentazioni superficiali e dare spazio a narrazioni che riflettano la realtà della malattia mentale.
  • Educazione alla salute mentale: diffondere informazioni accurate è il primo passo per evitare fraintendimenti. Un pubblico informato è più incline a riconoscere rappresentazioni distorte e a non lasciarsi influenzare da idealizzazioni fuorvianti. Ogni contenuto creato con cura e rispetto contribuisce a costruire una società più empatica e comprensiva.

Conclusioni

Il fascino della sofferenza è un tema potente, ma quando si scomodano i disturbi mentali, idealizzarli significa intrappolarli in narrazioni che allontanano dalla realtà. 

Sotto ogni forma di malattia mentale non c’è un personaggio da film, ma una persona con emozioni, paure e bisogni che spesso i media dimenticano, sacrificandoli all'altare del racconto intrigante. Romanticizzare il disagio significa, in fondo, trattarlo come un accessorio, dimenticando che la vita reale è molto più complessa e fragile delle trame che tanto amiamo.

Rompere questo schema è una responsabilità collettiva, che hanno anche e soprattutto i comunicatori e le persone maggiormente consapevoli. 

Restituire dignità e autenticità alla sofferenza, passa per la promozione di una rappresentazione dignitosa e questa scelta può fare la differenza nella vita di chi ogni giorno lotta per sentirsi compreso. La sfida è riuscire a mostrare la vera faccia della malattia, delle difficoltà quotidiane, delle lotte nonostante tutto per avere relazioni sane e conformarsi alle aspettative della società, ma anche raccontare la complessità della guarigione, il coraggio di chiedere aiuto, la capacità di costruire speranza anche nei momenti più bui.

Forse non sarà una narrazione perfetta, ma sarà una narrazione vera. E questo, per chi soffre, conta molto di più.

Federica Carbone | Autrice
Scritto da Federica Carbone | Autrice

Scrivo di salute mentale dal 2015 quando, per prima in Italia ho iniziato a parlare di guarigione dal disturbo borderline di personalità come ex paziente. Questo mi ha permesso di attirare l'attenzione dei professionisti che mi hanno invitata a portare la mia testimonianza in giro per il Paese.

Le informazioni proposte in questo sito non sono un consulto medico. In nessun caso, queste informazioni sostituiscono un consulto, una visita o una diagnosi formulata dal medico. Non si devono considerare le informazioni disponibili come suggerimenti per la formulazione di una diagnosi, la determinazione di un trattamento o l’assunzione o sospensione di un farmaco senza prima consultare un medico di medicina generale o uno specialista.
Federica Carbone | Autrice
Federica Carbone | Autrice
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