Le vacanze estive sono finite. Per molti, è il momento di rientrare al lavoro, riprendere la routine. Per altri, invece, non c’è più una routine a cui tornare. Siamo abituati a definirci attraverso il nostro lavoro: “sono un insegnante”, “sono una medica”, “sono una psicologa”. Quando quel ruolo viene meno, può aprirsi un vuoto, non solo nel calendario quotidiano, ma anche nella propria identità.
La mancanza di routine, che inizialmente può sembrare liberatoria, talvolta si trasforma in una fonte di ansia: il tempo libero, se non riconfigurato, può diventare un tempo di grande fatica psicologica, più che un tempo del riposo. La pensione, che dovrebbe essere tempo di libertà, può diventare un territorio incerto – soprattutto quando la struttura del quotidiano è venuta meno e il silenzio riempie le giornate.
Senza una “ripartenza”, ci si può sentire fermi, ai margini del flusso che riprende. E allora, più che una fine, il ritorno dalle vacanze diventa l’inizio di una nuova domanda: e adesso?
Trattenere ruoli e abitudini: il bisogno di continuità e identità
Il nostro cervello cerca stabilità. Dopo una vita scandita da ritmi, compiti e responsabilità, l’assenza di routine può generare disorientamento. Anche dopo una breve pausa estiva, ci si accorge che non c'è più nulla da "riprendere”.
Per questo motivo, lasciare andare il ruolo professionale può risultare doloroso. Ci si ritrova a domandarsi: chi sono ora che non vesto più i panni del mio ruolo ogni mattina? Qual è il mio posto nel mondo se non vengo più definito da un titolo, una funzione, un compito?
In questa fase è facile aggrapparsi a vecchie abitudini anche quando non rispondono più a un bisogno reale. Alcuni continuano a “fare” per riempire il tempo: si svegliano presto, simulano una giornata lavorativa, si sovraccaricano di impegni, con il rischio di trattenere una routine che non esiste più, solo per evitare di sentire quel senso di vuoto.
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Più profondamente, c’è la paura di non essere più utili. In una società che fatica a valorizzare la lentezza, il riposo e la saggezza, chi smette di lavorare può sentirsi invisibile. Ma spesso, ciò che fa più male non è il vuoto esterno, bensì quello interno: un silenzio che riporta in superficie fragilità, desideri mai ascoltati, bisogni ignorati per troppo tempo.
Riconoscere quando è il momento di reinventarsi
La fine delle vacanze può diventare un piccolo campanello d’allarme. Mentre gli altri tornano al lavoro, tu resti fermo, e questo immobilismo può rendere evidente un disagio più profondo.
La pensione richiede un cambiamento di sguardo: non sei più “ciò che fai”, ma puoi diventare “chi sei” in un senso nuovo.
Se ogni giorno ti sembra uguale al precedente, se il bisogno di riempire il tempo si fa compulsivo, è il momento di fermarsi e ascoltarsi. Molte convinzioni interiorizzate rendono difficile questo passaggio: “devo essere produttivo”, “senza lavoro non valgo”. Ma sono proprio queste idee a intrappolarci.
Invece, la pensione può essere il tempo per esplorare, per rallentare, per riscoprire ciò che era stato messo da parte: passioni, relazioni, desideri. Anche tornare a imparare, a donare tempo agli altri, o “semplicemente” permettersi di non fare nulla.
Forse non si tratta di trovare un’altra routine speculare alla precedente, ma di lasciare che il tempo si dilati in forme nuove e più autentiche.
Lasciare andare con gentilezza: darsi il permesso di cambiare
Il vero “rientro” non è quello alla scrivania, ma dentro di sé. E per farlo, serve gentilezza. Accettare che ogni giorno non debba essere “pieno” è già una forma di guarigione. Non stai perdendo tempo: stai imparando a viverlo in un altro modo.
Accogliere un nuovo ritmo di vita richiede delicatezza. Rallentare non è cedere, ma imparare ad ascoltare. Il corpo può finalmente riprendersi spazi trascurati, il silenzio può diventare fertile, non minaccioso, ma abituarsi a convivere con una nuova qualità del tempo è un processo, non un evento.
È fondamentale superare il senso di colpa. Non stai “sprecando tempo”: stai imparando a viverlo in un altro modo. L’idea di efficienza continua che ci accompagna da sempre può essere lasciata andare, per fare posto a una presenza più autentica e più gentile.
In questa nuova fase, il vuoto non è solo assenza: può diventare spazio creativo. Meno obblighi possono significare più possibilità. E si scopre, forse per la prima volta, che il proprio valore non sta in ciò che si fa, ma in ciò che si è. Nei gesti quotidiani, nelle relazioni, nella capacità di esserci. Nel concedersi, finalmente, di smettere di giustificare la propria esistenza e “semplicemente” esistere.
Tornare alla vita dopo l’estate, quando si è in pensione, può sembrare un paradosso: non si torna, si resta. Ma è proprio in quel restare che si apre una possibilità nuova.
La pensione non è affatto un’uscita di scena, ma un’occasione per riscrivere la propria narrazione. Una possibilità di lasciare andare ciò che non serve più, con gratitudine e curiosità per ciò che la vita ha ancora in serbo. Ma questo, certo, non è sempre facile.
Non esiste un solo modo giusto di affrontare questa transizione, ma esiste un diritto comune a tutti: quello di ritrovare se stessi e riscoprirsi, anche – e forse soprattutto – al di là del lavoro.