Sindrome del colon irritabile: andare in terapia potrebbe essere la soluzione

Arianna Bordi | Editor

Ultimo aggiornamento – 10 Ottobre, 2025

Giovane paziente sorridente in terapia mentale che parla con uno psicoterapeuta e un consulente

La Sindrome dell'Intestino Irritabile (IBS) è una condizione digestiva fastidiosa e diffusa, nota per scatenare sintomi come gonfiore, diarreastitichezza e dolore addominale.

Ecco le ultime novità in ambito scientifico per provare a gestirla al meglio.

Il legame tra intestino e cervello

Sebbene le sue radici non siano del tutto chiare, gli esperti puntano ormai da tempo il dito contro una comunicazione difettosa lungo l'asse intestino-cervello: l'intestino, nello specifico il colon, sotto attacco da infezioni o cibi scatenanti, lancia segnali d'allarme al cervello; allo stesso tempo, lo stress psicologico può inviare segnali di disturbo in senso opposto, esacerbando i sintomi.

Non è un caso, infatti, che a chi soffre di IBS venga spesso consigliato di gestire lo stress e trovare il relax e che le terapie incentrate sulla modifica del comportamento del paziente con questo disturbo si stiano dimostrando potenzialmente più efficaci rispetto ai metodi di trattamento convenzionali.

Oltre la dieta e i farmaci: la svolta comportamentale nell'IBS

Nonostante consigli dietetici e i farmaci forniscano un aiuto prezioso, per molti pazienti con colon irritabile i sintomi persistono, spingendo la ricerca a esplorare frontiere estreme come il trapianto fecale.

La vera svolta, tuttavia, si trova spesso in un approccio meno invasivo: le terapie comportamentali; considerate a lungo una "ultima spiaggia", uno studio del 2020 ha già messo in luce la loro superiorità, suggerendo che potrebbero essere più efficaci delle cure standard.

Le due più comuni includono:

  1. terapia cognitivo-comportamentale (TCC): un approccio pratico che insegna ai pazienti a rimodellare i pensieri e le azioni in modo da gestire e accettare meglio i propri sintomi;
  2. ipnoterapia guidata dall'intestino: tecnica che porta i pazienti in uno stato di trance per introdurre suggestioni terapeutiche volte a migliorare direttamente i sintomi intestinali.

Per consolidare queste evidenze Alexander Ford dell'Università di Leeds e i suoi colleghi (molti dei quali avevano partecipato alla revisione precedente) hanno condotto un'analisi ancora più massiccia: hanno, infatti, setacciato 67 studi randomizzati controllati, coinvolgendo oltre 7000 partecipanti.

Hanno messo a confronto l'efficacia delle terapie comportamentali (della durata variabile tra le 4 e le 12 settimane) con gruppi di controllo che ricevevano solo interventi standard (come consigli sulla dieta o lassativi) o che erano in lista d'attesa per la terapia.


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Si tratta di un vero e proprio studio spartiacque: secondo Perjohan Lindfors del Karolinska Institute in Svezia si tratta della "più ampia revisione dei trattamenti comportamentali per l'IBS" mai vista, sia per il numero di studi inclusi che per i partecipanti coinvolti.

I risultati sono netti: sia la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) che l'ipnoterapia guidata dall'intestino hanno superato i trattamenti standard; l’efficacia è stata confermata indipendentemente dalla modalità di erogazione, sia che la terapia fosse somministrata di persona o digitalmente (tramite app o Internet).

Misurando i sintomi dei partecipanti prima e dopo, è emerso chiaramente che le terapie comportamentali sono la chiave per un sollievo più significativo.

Si tratta di scoperte suggeriscono una rivoluzione nel trattamento dell'IBS: invece di relegare le terapie comportamentali come un'ultima risorsa da offrire solo in studio, i risultati spingono per una loro implementazione precoce.

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Ford sostiene che gli approcci digitali sono essenziali per questo cambiamento: "Potrebbero offrire un modo per estendere la terapia comportamentale e offrirla su larga scala".

Il formato digitale, infatti, non solo mantiene l'efficacia, ma può accelerare notevolmente la somministrazione su vasta scala.

Prossimi passi: la necessità di ulteriori chiarimenti

Nonostante l'entusiasmo, l'aggiornamento delle linee guida richiederà pazienza, forse cinque anni, secondo Ford, innanzitutto perché occorrono ulteriori studi che confrontino direttamente le terapie digitali con quelle standard.

Inoltre, Lindfors sottolinea una cautela fondamentale: l'effetto placebo potrebbe aver giocato un ruolo, poiché nella maggior parte degli studi i partecipanti sapevano quale trattamento stavano ricevendo, una parte del beneficio potrebbe derivare semplicemente dalla convinzione di essere curati.

Per isolare questo effetto il ricercatore suggerisce di disegnare studi futuri in cui tutti i partecipanti credano di ricevere il trattamento completo, anche se alcuni ne ricevono solo una parte.

Fonti:

  • The Lancet Gastroenterology & Hepatology - Efficacy of behavioural therapies for irritable bowel syndrome: a systematic review and network meta-analysis;
  • Gut - Efficacy of psychological therapies for irritable bowel syndrome: systematic review and network meta-analysis
Arianna Bordi | Editor
Scritto da Arianna Bordi | Editor

Dopo la laurea in Letteratura e Lingue straniere, durante il mio percorso di laurea magistrale mi sono specializzata in Editoria e Comunicazione visiva e digitale. Ho frequentato corsi relativi al giornalismo, alla traduzione, alla scrittura per il web, al copywriting e all'editing di testi.

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