La fatica che assale fin dal mattino, un’esperienza comune a 1 italiano su 10, può non attenuarsi neppure con il riposo, quindi la causa potrebbe risiedere in un errore di valutazione del cervello.
Scopriamo di più in merito.
La scoperta dei ricercatori
È quanto emerge dai rivoluzionari studi condotti all'Università di Verona, parte del colossale progetto di neuroscienze MNESYS, la più vasta iniziativa del genere mai realizzata in Italia e in Europa, che coinvolge circa 800 scienziati in oltre 90 centri.
I ricercatori veronesi, tra cui Mirta Fiorio e Angela Marotta del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, stanno svelando il meccanismo profondo della fatica, una condizione che si acuisce spesso nei cambi di stagione.
L’ipotesi è che la sensazione di spossatezza, anche prima di muoversi, derivi da un'incapacità del cervello di interpretare correttamente l’intensità delle informazioni motorie in arrivo; in pratica, il cervello "prevede" che un’azione richieda molta più energia del necessario, amplificando così la percezione dello sforzo.
Perché succede? I dettagli
La professoressa Mirta Fiorio, ordinario di neuropsicologia a Verona, sottolinea l’importanza della stanchezza come meccanismo di difesa, ma anche la sua potenziale patogenicità: “I nostri dati mostrano che esiste una stretta relazione fra la stanchezza e un ‘difetto’ nel processo che integra le informazioni sensoriali e motorie che arrivano al cervello e che è fondamentale per il controllo volontario delle azioni. Quando vogliamo compiere un gesto, infatti, il cervello ‘prevede’ sulla base dell’esperienza le sensazioni che proverà affrontandolo e ne regola l’intensità percepita.”
Angela Marotta, ricercatrice e coautrice, ha testato 77 pazienti con patologie neurologiche (come il Parkinson) dove la fatica è un sintomo invalidante.
Utilizzando un test di forza target, è emerso che: “Nei pazienti con stanchezza patologica, e non in quelli senza, le sensazioni motorie vengono percepite più intense del dovuto: ciò porta il cervello a commettere errori di previsione, ad attribuire un livello di sforzo maggiore alle proprie azioni e ritenerle perciò più faticose di quanto siano in realtà. La fatica patologica sembra derivare dal ripetersi di queste previsioni errate associate al movimento”.
Lo stesso "difetto" è stato riscontrato in 50 persone sane che lamentano una fatica costante. Fiorio aggiunge: “Le prime osservazioni rivelano che anche in chi ha la tendenza più marcata a sentirsi affaticato nella vita di tutti i giorni il cervello ha una minore capacità di ridurre l’intensità delle sensazioni che provengono dai propri movimenti. Questo fa ritenere le azioni più faticose del dovuto, amplificando la stanchezza, e porta anche ad avere una percezione di minor controllo sulle proprie azioni.”
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Dunque, sulla base di queste scoperte si aprono nuove prospettive di intervento e Fiorio conclude suggerendo strade concrete: “In tal senso, una strada da esplorare in studi futuri potrebbe essere, per esempio, quella di sfruttare tipi di attività fisica, come lo yoga e il pilates, che aiutano a rafforzare la consapevolezza del proprio corpo e potrebbero rappresentare un utile allenamento per il nostro cervello a prevedere in modo corretto le sensazioni legate al movimento, prevenendo così il senso di stanchezza.”