Un’area del cervello di dimensioni pari a un seme di girasole sembra giocare un ruolo decisivo nel determinare l’appetito e la quantità di cibo che un individuo assume.
Una nuova ricerca, pubblicata su Cell da un team della Columbia University di New York, apre prospettive interessanti per lo sviluppo di farmaci in grado di stimolare o ridurre l’assunzione alimentare, con potenziali applicazioni sia nei pazienti oncologici che soffrono di perdita di appetito, sia nelle persone con obesità resistente alle terapie attuali.
La minuscola struttura che regola l'appetito: cosa dice lo studio
La struttura al centro dello studio è il nucleo del letto della stria terminale (BNST) nonché un gruppo di neuroni situato nell'ipotalamo, una regione localizzata vicino all’amigdala e spesso indicata come “amigdala estesa”.
Nonostante le dimensioni oltremodo ridotte, il BNST assume un ruolo cruciale nell’integrare segnali legati a gusto, fame e stato nutrizionale.
Esperimenti condotti sui topi hanno mostrato che:
- l’attivazione dei neuroni del BNST aumenta il consumo di cibo e bevande;
- neuroni specifici dell’amigdala rispondono al gusto dolce e trasmettono il segnale al BNST;
- se questi neuroni vengono “spenti” geneticamente, i topi riducono in modo significativo l’assunzione di liquidi dolci;
- al contrario, l’attivazione artificiale del BNST induce i topi a bere di più qualunque tipo di liquido, persino quello salato o amaro, che normalmente evitano.
Tali risultati suggeriscono che il BNST non si limiti a reagire al gusto, ma funzioni come un “centro integratore” capace di modulare il comportamento alimentare in base alle necessità fisiologiche, come la fame o la carenza di sali minerali.
Implicazioni cliniche: dall’anoressia alla perdita di peso
Le scoperte sui topi hanno un valore diretto anche per l’essere umano, poiché la struttura del BNST è molto simile nelle due specie.
Si tratta di un fattore che apre prospettive terapeutiche interessanti da un punto di vista della ricerca scientifica e dei potenziali risvolti in ambito clinico.
In particolare, stimolare farmacologicamente il BNST potrebbe rivelarsi utile in condizioni in cui l’appetito è gravemente compromesso, ad esempio:
- nei pazienti oncologici sottoposti a chemioterapia;
- in chi soffre di cachessia, una sindrome di deperimento fisico legata a gravi malattie croniche;
- in persone con disturbi dell’alimentazione che comportano perdita involontaria di peso.
Al contrario, modulare o inibire l’attività del BNST potrebbe aiutare a potenziare le strategie di dimagrimento, soprattutto per chi non risponde adeguatamente alle terapie già disponibili.
Gli studiosi sottolineano che non si tratta dell’unico circuito cerebrale coinvolto nella regolazione dell’appetito: esistono oltre una dozzina di vie neuronali che cooperano o si compensano a vicenda. Per questo motivo, gli interventi futuri dovranno probabilmente agire su più meccanismi in parallelo.
Legame con i farmaci anti-obesità di nuova generazione
Un ulteriore aspetto di rilievo riguarda i farmaci GLP-1, come il semaglutide, già impiegati con successo nel trattamento dell’obesità. Questi farmaci, oltre ad agire sull’intestino e sul metabolismo, possono legarsi a neuroni presenti anche nel BNST.
Comprendere meglio in che modo questa piccola struttura cerebrale influenzi l’assunzione di cibo potrebbe quindi:
- spiegare perché alcuni pazienti rispondono molto bene al semaglutide, mentre altri mostrano effetti limitati;
- permettere di ottimizzare i dosaggi e le strategie terapeutiche;
- guidare lo sviluppo di nuove molecole mirate al BNST, in grado di migliorare sia il controllo dell’appetito sia la gestione del peso corporeo.
In prospettiva, queste ricerche aprono la strada a una medicina più personalizzata, in cui la scelta dei trattamenti per l’obesità o la perdita di appetito potrebbe basarsi non solo su parametri clinici generali, ma anche su caratteristiche neurobiologiche specifiche del paziente.
Un piccolo centro con un grande impatto
Lo studio sul BNST pone in evidenza quanto anche strutture cerebrali minuscole possano generare un impatto importante sul comportamento alimentare e, di conseguenza, sulla salute complessiva.
Se in futuro sarà possibile sviluppare terapie mirate a questo “centro dell’appetito”, sarà possibile disporre di strumenti innovativi per affrontare una diversificata molteplicità di sfide cliniche: dal favorire la nutrizione di chi lotta contro una malattia debilitante, al migliorare l’efficacia dei trattamenti per l’obesità, condizione che rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello globale.
Il tragitto da sondare e percorre è senz'altro ancora lungo e complesso, ma ogni passo verso la comprensione dei meccanismi cerebrali che regolano la relazione dell'essere umano con il cibo avvicina la possibilità di interventi sempre più mirati, personalizzati ed efficaci.
Fonti:
Cell - A brain center that controls consummatory responses
New Scientist - Tiny structure in the brain could be driving how much you eatTiny structure in the brain could be driving how much you eat