Alyssa Milano, celebre volto di Streghe, ha compiuto un passo importante: attraverso un post Instagram del 24 settembre 2025, ha, infatti, annunciato la sua decisione di perseguire un'immagine più autentica grazie alla rimozione delle protesi mammarie, liberandosi finalmente dei un "corpo che era stato sessualizzato”.
Non è la prima donna del mondo dello spettacolo a prendere questa decisione: si tratta, infatti, di una consapevolezza che nasce sempre più spesso, per motivi ideologici o di salute.
Ma le protesi utilizzate per la mastoplastica sono davvero sicure? Scopriamolo.
Ecco quando le protesi devono essere sostituite
La longevità delle protesi mammarie è un capitolo aperto e non prevedibile: come sottolinea la FDA, il fattore tempo è il principale moltiplicatore di rischio, perché con il passare degli anni aumenta esponenzialmente la probabilità che le complicanze si manifestino, rendendo necessaria una chirurgia di revisione.
Di conseguenza, la possibilità di sottoporsi a ulteriori operazioni, sia che si tratti di un'esigenza medica, sia che si desideri semplicemente modificare dimensione o forma, non è un'eccezione, ma una prospettiva che tutte le pazienti devono considerare.
La maggior parte dei chirurghi raccomanda una valutazione approfondita dopo 10-15 anni, poiché l'usura e il rischio di complicazioni aumentano con il passare del tempo.
Le ragioni per ricorrere alla chirurgia possono essere di natura medica o puramente estetica:
- rottura della protesi: anche se le protesi in gel coesivo possono rompersi in modo "silenzioso" (senza sintomi evidenti), una rottura può manifestarsi con gonfiore, dolore o alterazione della forma. In ogni caso, la sostituzione è indispensabile;
- contrattura capsulare: è una reazione naturale del corpo che crea una cicatrice fibrosa (capsula) attorno all'impianto. Con il tempo, questa capsula può irrigidirsi, causando dolore, asimmetrie o un seno troppo sodo. Nei casi gravi (gradi III e IV di Baker) è necessario rimuovere chirurgicamente la capsula e sostituire l'impianto;
- aggiornamento estetico: molte donne scelgono di cambiare le protesi per aggiornare la dimensione, la forma (ad esempio, passando da rotonde ad anatomiche) o la posizione (da sottoghiandolari a sottomuscolari);
- armonizzazione post-cambiamento: eventi della vita come gravidanze, allattamento, forti variazioni di peso o il naturale invecchiamento cutaneo possono alterare l'aspetto del seno. In questi casi la sostituzione delle protesi viene spesso abbinata a un lifting del seno (mastopessi) per ripristinare l'armonia.
Protesi mammarie e tumore al seno: esiste un legame?
La Food and Drug Administration ha iniziato a tracciare la possibile correlazione tra le protesi mammarie e lo sviluppo di Linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL) nel 2011.
Inizialmente la scarsità di casi registrati non permetteva di identificare i fattori di rischio specifici, ma già all'epoca, l'Agenzia sottolineò l'urgenza di raccogliere dati più precisi per una migliore caratterizzazione di questa rara patologia nelle pazienti con impianti.
La svolta arrivò nel 2016, quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità riconobbe ufficialmente l'esistenza di questa patologia, definendolo come un linfoma a cellule T correlato all'impianto di protesi.
Il numero dei casi segnalati è cresciuto, raggiungendo più di 600 a livello mondiale nel 2018, ma è fondamentale sottolineare che si tratta comunque di una complicanza estremamente rara. Uno studio retrospettivo condotto proprio in Italia ha stimato che l'incidenza del BIA-ALCL nel nostro Paese è di circa 2,8 casi ogni 100.000 pazienti a rischio.
Foto dal profilo Instagram dell'attrice Alyssa Milano (@milano_alyssa)
Per quanto riguarda i tempi, i sintomi di questa patologia possono insorgere in un arco di tempo molto ampio, ossia da uno a 22 anni dopo l'intervento, con un tempo medio di comparsa di circa 6,8 anni; lo stesso studio ha rivelato che il tempo medio tra l'insorgenza dei primi sintomi e la diagnosi effettiva è di circa 7,8 anni.
Un aspetto cruciale, confermato anche da una review pubblicata sulla rivista JAMA Surgery, è che il problema sembra essere correlato soprattutto alle protesi a superficie testurizzata (o ruvida). La causa scatenante di questa neoplasia sembra risiedere in fenomeni di infiammazione batterica cronica che si sviluppano silenziosamente sulla superficie dell'impianto.
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Per fortuna l'ALCL, quando localizzato, è un tumore a ottima prognosi: infatti, i professionisti sanitari (chirurghi plastici, senologi, radiologi) che hanno ricevuto una formazione adeguata non dovrebbero avere difficoltà a formulare l'ipotesi diagnostica, che viene poi confermata tramite un semplice esame citologico del liquido (prelevato sotto guida ecografica) o mediante l'esame istologico del tessuto vicino alla protesi (capsula periprotesica).
L'approccio risolutivo prevede la rimozione completa della protesi, dell'intera capsula periprotesica e di ogni tessuto eventualmente infiltrato dal tumore, una strategia chirurgica, se eseguita tempestivamente, consente una pronta guarigione per la paziente.
La situazione in Italia
Il Ministero della Salute italiano non è rimasto con le mani in mano di fronte alla questione del BIA-ALCL, poiché attraverso una serie di circolari ufficiali, emanate tra il 2015 e il 2019, ha messo in allerta l'intero settore sanitario; l'obiettivo era duplice: sensibilizzare sull'esistenza del problema e sottolineare l'importanza cruciale del monitoraggio e della diagnosi precoce.
Ha messo, poi, a disposizione il parere tecnico del Consiglio Superiore di Sanità, ha designato centri di riferimento specializzati per la gestione clinica delle pazienti con diagnosi accertata e ha definito un vero e proprio Percorso Diagnostico Terapeutico ed Assistenziale (PDTA) per chi presenta sintomi sospetti o casi confermati. Nonostante la rarità del BIA-ALCL, però, come affermato dalla FDA, il Ministero raccomanda a tutte le donne con protesi mammarie di sottoporsi a controlli regolari.
È cruciale, però, anche evitare allarmismi eccessivi, dato che non esiste alcuna indicazione clinica per la rimozione preventiva di protesi mammarie già impiantate. Infatti, dato che il fenomeno è estremamente raro, l'intervento chirurgico di rimozione è giustificato solo in presenza di segni o sintomi che facciano sospettare o confermino la patologia.
Fonti:
- Food and Drug Administration - Questions and Answers about Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma (BIA-ALCL);
- Food and Drug Administration - What to Know About Breast Implants;
- Plastic and Reconstructive Surgery - 22 Cases of Breast Implant–Associated ALCL: Awareness and Outcome Tracking from the Italian Ministry of Health;
- Jama Surgey - Breast Implant-Associated Anaplastic Large Cell Lymphoma. A Systematic Review