Negli ultimi anni, la ricerca sul morbo di Alzheimer ha iniziato a guardare con crescente interesse a un aspetto spesso sottovalutato: la capacità di riconoscere gli odori.
Non si parla semplicemente di percepirli, ma di identificarli, collegando una sensazione olfattiva a un ricordo o a un gesto quotidiano. Ed è proprio in questa sottile distinzione che si nasconde un possibile campanello d’allarme, talvolta più precoce dei tradizionali disturbi di memoria.
Scopriamo di cosa si tratta all’interno di studio.
Il grande studio della Mayo Clinic
Per verificare realmente quanto i test olfattivi potessero predire l’insorgere di demenza, il team di ricerca ha analizzato i dati di 647 partecipanti del Mayo Clinic Study of Aging, tutti privi di diagnosi di Alzheimer all’inizio del percorso.
Nel corso di 8 anni di follow-up, ciascuno è stato sottoposto a:
- Brief Smell Identification Test (BSIT): un test basato sul riconoscimento di 12 odori comuni (sapone, cuoio, lillà, fumo, gas, rosa, ciliegia, chiodi di garofano, fragola, mentolo, ananas, limone);
- Blessed Information Memory Concentration Test (BIMCT): una valutazione delle funzioni cognitive, inclusi orientamento, giudizio, ragionamento e memoria a breve termine;
- Esami strumentali: risonanza magnetica e PET per valutare la presenza di amiloide, il biomarcatore oggi più utilizzato per la diagnosi precoce della malattia.
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Durante il periodo osservato:
- 102 persone hanno sviluppato un declino cognitivo;
- 34 persone sono progredite verso una forma di demenza.
La combinazione di test olfattivo + test cognitivo breve si è dimostrata capace di predire questi esiti con un’accuratezza paragonabile a quella delle costose PET cerebrali, pur essendo strumenti molto più semplici, economici e facilmente applicabili nella pratica quotidiana.
L’olfatto come strumento di screening
Incrociando i punteggi dei due test, i ricercatori hanno verificato che chi mostrava prestazioni ridotte nel riconoscimento degli odori aveva un rischio significativamente più alto di sviluppare declino cognitivo negli anni successivi.
All’interno del punteggio del BSIT, in particolare:
- ≥ 9 indica un olfatto integro;
- 4–8 suggerisce un deficit olfattivo;
- ≤ 3 viene considerato un segno di anosmia.
Questi valori, messi in relazione con le performance cognitive e con i dati ottenuti dalle neuroimmagini, hanno confermato la validità del test come strumento predittivo.
Il Dr. Jeffrey Motter, coautore dello studio, sottolinea che proprio la semplicità di questi strumenti rappresenta il loro punto di forza: possono essere somministrati facilmente anche nell’assistenza primaria, dove spesso non sono disponibili tecnologie diagnostiche avanzate.
Potrebbero, quindi, anticipare l’invio allo specialista, migliorare l’accesso alla diagnosi precoce e, di conseguenza, aumentare le opportunità di intervento tempestivo.
Il Dr. Devanand, primo autore della ricerca e psichiatra e neurologo alla Columbia University di New York, ricorda che il settore sta vivendo una fase di grande evoluzione: stanno arrivando test del sangue più accurati e nuove tecniche diagnostiche meno invasive rispetto al passato.
Ma, fino a quando queste non diventeranno disponibili ovunque, l’uso combinato di test dell’olfatto e della memoria rappresenta una risorsa immediata, affidabile e soprattutto democratizzabile.
Ma quindi, perché il sapone sotto la doccia merita attenzione?
Il sapone è solo uno dei dodici odori testati, ma è quello che più facilmente permette di accorgersi di un cambiamento nella vita quotidiana. La ripetitività del gesto, l’ambiente familiare e la routine personale lo rendono un indicatore immediato.
Se, improvvisamente, un odore così semplice “non torna”, può essere il momento di approfondire con un medico – non perché sia automaticamente un sintomo di Alzheimer, ma perché rappresenta un segnale che il cervello sta faticando ad associare gli stimoli correttamente.
Questo perché è l’identificazione degli odori coinvolge regioni cerebrali tra le prime a essere interessate dai processi degenerativi tipici dell’Alzheimer. È il motivo per cui, da oltre vent’anni, diversi studi osservano una correlazione costante tra difficoltà nei test olfattivi e inizio del deterioramento cognitivo.
Il Dr. Devanand lo riassume così: possiamo percepire un odore senza problemi, ma riconoscerlo richiede memoria, linguaggio e altre competenze che iniziano a indebolirsi molto presto nel processo patologico. Ed è proprio questa discrepanza a rendere l’olfatto una spia preziosa.
Non si tratta solo di persone già diagnosticate: anche chi presenta un lieve deficit cognitivo – condizione che può evolvere nel tempo – tende a fallire in questi test.
Fonti:
- Columbia University, Department of Psychiatry – Simple Smell and Memory Tests Could Predict Alzheimer’s as Effectively as Costly Brain Imaging
- The Journal of the Alzheimer's Association – Comparison of brief olfactory and cognitive assessments to neuroimaging biomarkers in the prediction of cognitive decline and dementia in the MCSA cohort
- The Educated Patient – Davangere Devanand, MD: Odor Identification and Cognitive Testing Predict Dementia
- Mayo Clinic – Mayo Clinic Study of Aging