Secondo un’analisi condotta in diversi Paesi, vivere in aree con una maggiore presenza di spazi verdi sembra ridurre in modo significativo la probabilità di essere ricoverati per un disturbo mentale.
Gli effetti benefici sono ancora più evidenti nelle grandi città, dove il verde è spesso scarso e l’ambiente urbano è più stressante.
Le riduzioni più marcate riguardano i ricoveri per disturbi da uso di sostanze, psicosi, demenza e ansia.
Entriamo nel dettaglio.
Come è stato condotto lo studio
Lo studio si è concentrato su 11,4 milioni di ricoveri su un’ampia serie temporale registrata tra il 2000 e il 2019.
Questa ha coinvolto ben sette Paesi in tutto il mondo, con caratteristiche socio-ambientali ben diverse tra loro:
- Australia;
- Brasile;
- Cile;
- Nuova Zelanda;
- Thailandia;
- Corea del Sud;
- Canada.
La maggior parte dei pazienti coinvolti aveva tra i 20 e i 59 anni, quindi in piena età lavorativa.
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Le diagnosi che più frequentemente portavano al ricovero erano:
- disturbi psicotici (31%);
- dipendenze da sostanze (25%);
- disturbi dell’umore (12%);
- disturbi del comportamento (7%);
- demenza (3%);
- ansia (2,5%).
Al fine di calcolare il “livello di verde”, il team di ricerca ha utilizzato un indice ricavato da immagini satellitare – il NDVI – in grado di distinguere aree spoglie da zone con una vegetazione moderata o intensa
L’obiettivo era capire se – e in quale misura – questi livelli fossero associati al rischio di ricovero per diverse categorie diagnostiche e in differenti aree geografiche.
Cosa è emerso
Una variazione – anche minima – dell’indice di vegetazione si è rivelata rilevante: un incremento di 0,1 punti nel NDVI corrispondeva a una riduzione del 7% del rischio complessivo di ricovero per disturbi mentali.
Le riduzioni erano ancora più consistenti per alcune diagnosi specifiche:
- disturbi da uso di sostanze: - 9%;
- disturbi psicotici: - 7%;
- demenza: - 6%;
- ansia: - 3%.
Come detto, nelle aree urbane l’effetto del verde risultava ancor più amplificato: qui l’aumento della copertura vegetale era collegato a una riduzione del rischio del 13%, con una stima di quasi 8000 ricoveri l’anno potenzialmente evitabili.
Il quadro varia molto da un Paese all’altro: il beneficio maggiore è stato osservato in Thailandia, mentre in Australia l’associazione risultava più debole. Anche il numero di ricoveri potenzialmente legati al livello di verde cambiava sensibilmente, da poche decine (Corea del Sud) a diverse migliaia (Brasile).
In generale, gli autori riportano che un aumento del 10% della presenza di aree verdi può tradursi in una riduzione dei ricoveri legati a problemi di salute mentale, con un impatto variabile in base al contesto: da circa 1 caso ogni 100.000 abitanti in Corea del Sud fino a 1000 ogni 100.000 in Nuova Zelanda.
Secondo il team di ricerca, dunque, attraverso politiche di urbanistica orientate ad aumentare la copertura vegetale – come parchi accessibili, corridoi verdi o la riqualificazione di aree abbandonate – si potrebbero generare benefici tangibili non solo per la salute mentale, ma anche sul piano economico: meno pressione sugli ospedali, minori costi sanitari, maggiore produttività e un senso di benessere più diffuso nelle comunità.
Lo studio, però, presenta alcuni limiti: lavorare con dati provenienti da sistemi sanitari così diversi può introdurre margini di incertezza, dal momento che lo studio considera solo i casi più gravi – ovvero quelli che portano al ricovero, escludendo, così, i disturbi gestiti a livello ambulatoriale o mai diagnosticati.
Il NDVI, poi, misura la quantità di vegetazione ma non la qualità: accessibilità, sicurezza, manutenzione, biodiversità e gradevolezza non sono stati valutati.
Fonti:
The Bmj – Greenness and hospital admissions for cause specific mental disorders: multicountry time series study