Danni cerebrali: arrivano ben prima della pressione alta

Arianna Bordi | Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello
A cura di Arianna Bordi
Autrice e divulgatrice esperta in salute femminile, psicologia e salute del cervello

Data articolo – 03 Dicembre, 2025

Una giovane dottoressa misura la pressione sanguigna di un paziente

Uno studio preclinico condotto dai ricercatori della Weill Cornell Medicine sta riscrivendo le regole, dimostrando che i danni cerebrali iniziano a innescarsi molto prima che la pressione sanguigna raggiunga livelli di allarme.

Scopriamo di più in questo studio.

L'allarme cellulare: più che semplice pressione alta

Sappiamo bene che chi soffre di ipertensione ha un rischio da 1,2 a 1,5 volte maggiore di sviluppare problemi di memoria e pensiero, ma il meccanismo biologico esatto è sempre stato un enigma.

La prova più lampante? I farmaci per abbassare la pressione spesso sono efficaci per il corpo, ma deludono quando si tratta di proteggere la funzione cognitiva; ciò suggerisce un danno cerebrale che va al di là del semplice innalzamento pressorio.


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Costantino Iadecola, autore senior e direttore del Feil Family Brain and Mind Research Institute alla Weill Cornell, ha espresso lo stupore del team: "Abbiamo scoperto che le principali cellule responsabili del deterioramento cognitivo sono state colpite solo tre giorni dopo l'induzione dell'ipertensione nei topi, prima che la pressione sanguigna aumentasse", ha affermato il dottor Iadecola. “In sostanza, è coinvolto qualcosa che va oltre la disregolazione della pressione sanguigna."

Anthony Pacholko, co-direttore della ricerca, e il team hanno utilizzato tecniche di analisi a singola cellula per scrutare la risposta molecolare delle diverse popolazioni cellulari.

Per simulare l'ipertensione i ricercatori hanno usato l'ormone angiotensina nei topi e hanno osservato il cervello a due momenti cruciali:

  1. dopo tre giorni (prima che la pressione salisse);
  2. dopo 42 giorni (quando l'ipertensione era conclamata e il declino cognitivo evidente).

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I risultati al terzo giorno sono stati sbalorditivi:

  • cellule endoteliali: hanno mostrato segni di invecchiamento accelerato, con ridotto metabolismo energetico. La cruciale barriera emato-encefalica ha iniziato a indebolirsi prematuramente, aprendo le porte a sostanze dannose;
  • interneuroni: cellule vitali per bilanciare i segnali cerebrali che sono state danneggiate, creando uno squilibrio che richiama le prime fasi del morbo di Alzheimer;
  • oligodendrociti: le cellule che producono la mielina (l'isolante delle fibre nervose) hanno espresso meno geni per il mantenimento e la riparazione della guaina. Quando questo supporto viene meno, la comunicazione tra i neuroni diventa inefficiente.

“L'entità delle alterazioni precoci indotte dall'ipertensione è stata piuttosto sorprendente”, ha ammesso Pacholko.

Dunque, la comprensione a livello cellulare e molecolare potrebbe essere la chiave per sviluppare nuove terapie in grado di bloccare la neurodegenerazione.

Una piccola speranza di miglioramente

Il losartan, principio attivo di farmaci antipertensivi, che inibisce il recettore dell'angiotensina, ha dimostrato in questi esperimenti di poter invertire il danno precoce nelle cellule endoteliali e negli interneuroni.

"In alcuni studi sull'uomo, i dati suggeriscono che gli inibitori del recettore dell'angiotensina potrebbero essere più benefici per la salute cognitiva rispetto ad altri farmaci che abbassano la pressione sanguigna," ha notato Iadecola.

In conclusione, anche se curare l'ipertensione è una priorità assoluta per proteggere cuore e reni, la sfida ora è trovare strategie che, oltre a controllare la pressione, possano agire attivamente per proteggere il cervello fin dalle prime, silenziose, alterazioni.

Fonti:

Neuron, Cell Press Journal - Hypertension-induced neurovascular and cognitive dysfunction at single-cell resolution

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